12 Dicembre 2024

La scrittrice di Leggere Lolita a Teheran e di Leggere pericolosamente:  «La maggioranza di noi non ha alcun problema con il popolo israeliano, come vuole far credere il regime. Non sarà un Paese straniero ad affossare la dittatura, dobbiamo imparare dalle ragazze e dalla loro protesta»

Sabato sera, Azar Nafisi se lo sentiva. Quando la Cnn ha dato la notizia dell’attacco degli ayatollah in Israele, per la scrittrice iraniana di Leggere Lolita a Teheran non è stata una sorpresa: «Immaginavo avrebbero mostrato i muscoli». Dalla sua casa di Washington Dc racconta però di non essere più preoccupata di una settimana, un mese o un anno fa.

Perché?
«Perché sono sempre in tensione per il mio popolo. Vivo in costante angoscia per la brutalità di questo regime che uccide, tortura e, non contento, ruba anche i soldi ai cittadini per darli ad Hamas».

Ha sentito amici in Iran?
«Sì, li ho subito contattati. Nessuno vuole una guerra contro Israele, non solo perché la maggioranza di noi non ha alcun problema con il popolo israeliano, come vuole far credere il regime, ma perché gli iraniani e le iraniane hanno già una guerra in corso: quella contro il dittatore Ali Khamenei».

Un uomo che vede in Israele e negli Stati Uniti il male assoluto.
«Certo, perché sono gli ostacoli principali al raggiungimento del suo sogno: dominare tutta la regione. La Guida suprema ha sempre utilizzato la questione palestinese per i propri comodi. Il problema è che noi ne siamo ultra consapevoli. La nostra battaglia non è contro i palestinesi o gli israeliani, ma contro le dittature che opprimono».

Da un sondaggio che gira su X si deduce che alcuni iraniani vedono in un attacco esterno una possibilità più veloce per sconfiggere gli ayatollah, per sempre.
«Capisco che si potrebbe pensare a questa scorciatoia, ma noi siamo popolo di rivoluzioni e dovremmo aver capito che per cambiare il sistema dobbiamo contare solo sulle nostre forze. Non sarà un Paese straniero ad affossare la dittatura. Le democrazie occidentali possono aiutarci smettendola una volta per tutte di fare affari con il regime. Dovrebbero promuovere le lotte delle ragazze e dei ragazzi d’Iran — così come quelle degli ucraini e degli afghani — non perché fanno compassione ma perché in questo momento storico sono loro sulle front line delle democrazie del mondo. Dobbiamo capire che la difesa della libertà di questi popoli è la difesa della libertà di tutti. Noi abitanti del pianeta democrazia ci siamo adagiati nella sicurezza fragile dei nostri privilegi: c’è molto da imparare dalle ragazze iraniane».

Cosa?
«Il coraggio, l’amore per la vita. In Iran, protestare come ha fatto il movimento Donna Vita Libertà, praticare la disobbedienza civile è un atto eroico. Le adolescenti che ogni giorno lasciano l’hijab a casa sono valorose guardiane del mondo libero: mi commuovono. Sono le figlie simboliche delle mie studentesse di Leggere lolita a Teheran. Sono il risultato della nostra evoluzione. Quando vivevo in Iran (ha lasciato il Paese nel 1997, ndr.) mettevo un filo di rossetto, sembrerà nulla in Italia o in America, ma ai miei tempi era vissuto come un’arma di distruzione di massa».

Non pensa che per rovesciare il regime a un certo punto ci sarà bisogno di metodi non pacifici?
«Non lo penso affatto. Questa nuova generazione mette in crisi Khamenei più delle altre proprio perché non parla la sua lingua. Lui li uccide e loro gli ballano in faccia. Li tortura e gli cantano in faccia. La musica, la poesia, la cultura sono le uniche cose che passano attraverso le sbarre delle loro prigioni».

E se Israele attaccasse?
«Sarebbe un grande problema. Vivere in Iran è già molto faticoso, anche la situazione economica è terribile: la guerra è sempre un disastro per il popolo. Ma io ammetto di non essere mai stata così speranzosa come lo sono oggi: credo che le cose cambieranno».

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