I populisti perdono 12 seggi su 37. Il balzo della formazione di Rob Jetten
I Paesi Bassi si apprestano a voltare pagina. Un anno al governo è costato caro al leader populista Geert Wilders, il cui partito ha perso circa un terzo dei seggi in Parlamento rispetto alle precedenti elezioni del 2023 (passando da 37 a 25) e soprattutto il primato tra gli elettori.
Secondo gli exit-poll pubblicati alla chiusura delle urne, la lista più votata è stata quella dei social-liberali D66 guidati dall’ex ministro per il Clima Rob Jetten: 27 seggi, il triplo rispetto a due anni fa, che premiano la linea europeista. Teoricamente toccherà a lui provare a formare un governo: nel caso in cui ci riuscisse, il 38enne diventerebbe il più giovane premier della storia olandese e il primo dichiaratamente omosessuale, in un Paese da sempre all’avanguardia sul fronte dei diritti civili.
Gli exit-poll hanno un margine d’errore di due seggi, dunque soltanto i dati reali diranno se effettivamente c’è stato un sorpasso al termine di una campagna elettorale dominata dalla questione immigrazione e dall’emergenza abitativa. In ogni caso non dovrebbe cambiare molto, visto che tutti i principali partiti avevano annunciato di non volersi più alleare con la lista di Wilders, sbarrando così la porta a un suo possibile ritorno al governo. Era stato proprio il leader di estrema destra a staccare la spina al precedente esecutivo, dopo solo undici mesi, perché gli alleati della coalizione di centro-destra avevano respinto il suo piano in dieci punti sull’immigrazione, considerato troppo radicale e contrario alle norme dell’Unione europea in quanto puntava di fatto ad azzerare il diritto d’asilo.
In un Parlamento iper-frammentato, dove dovrebbero entrare ben 15 partiti, per ottenere la maggioranza dei 150 seggi servirà una coalizione di almeno quattro forze politiche. Lo scenario che viene dato come più probabile è quello di un’alleanza composta dai social-liberali (D66), dai rossoverdi dell’ex commissario europeo Frans Timmermans (che scendono da 25 a 20 seggi), dai cristiano-democratici Cda (che registrano un’impennata di consensi, passando da 5 a 19 seggi) e dai liberali di centrodestra Vvd (il partito di Rutte, che resta sul podio con 23 seggi, soltanto uno in meno rispetto a cinque anni fa). La coalizione avrebbe 89 seggi e un ampio margine di maggioranza.
Ci potrebbe però essere un ostacolo: l’attuale leader dei liberali, Dilan Yesilgoz, è sempre parsa contraria all’idea di formare una coalizione con la lista degli ecologisti-laburisti di Timmermans. Per questo gli analisti indicano anche un altro possibile schema di gioco, con le due formazioni liberali, i cristiano-democraitci e i conservatori del partito JA21, altra sorpresa di questa tornata elettorale, che passerebbe da un solo seggio a quota nove. Ma si tratterebbe di una coalizione dai margini più risicati (78 seggi, solo due in più del quorum necessario), nettamente più sbilanciata a destra e con posizioni molto divergenti su alcuni temi-chiave.
Di certo ci vorrà del tempo prima di avere un nuovo governo in carica: l’ultima volta i negoziati durarono 223 giorni. Visto il rifiuto degli altri partiti di nominare Wilders primo ministro, si optò per una figura neutra come garante della coalizione a quattro formata dal Partito per la Libertà, dai liberali Vvd, dal partito degli agricoltori (che passa da 4 seggi a 1) e dalla neonata formazione “Nuovo contratto sociale” (letteralmente sparita dal Parlamento: da 20 seggi a zero). Il tecnico Dick Schoof è alla guida del governo da poco più di un anno, ma ieri – scherzando – ha spiegato di volersi liberare al più tardi entro il prossimo agosto, quando spera di poter partecipare alla maratona di Sydney, alla quale si è iscritto.
