11 Dicembre 2024

Il valore del documento: invita a riflettere sulla necessità di irrobustire i legami con l’insieme di Israele, non solo con il governante preferito

L’appello per un «accordo di cessate il fuoco» diffuso in questi giorni da personalità progressiste su Gaza va in direzione opposta a pacifismi dagli occhi bendati, indifferenti alla natura teocratica di Hamas, alla sua crudeltà, alla sua funzionalità attuale per l’espansione dell’influenza dell’Iran. Sarebbe utile che a destra e a sinistra il documento firmato tra gli altri da Giuliano Amato, Piero Fassino, Pina Picierno, Luciano Violante inducesse a riflettere sulla necessità di irrobustire i legami con l’insieme di Israele, non solo con il governante preferito di un determinato momento. «Il più drastico giudizio sulle politiche di Netanyahu non può in alcun modo tradursi nella negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele», fa presente il documento.
L’affermazione è quanto mai opportuna. Perché qualunque opinione si abbia sulla guerra in corso e sul governo di Benjamin Netanyahu il punto di partenza della fase attuale è: con il più alto numero di ebrei uccisi in una sola volta dopo la Shoah, circa 1.200, lo Stato ebraico il 7 ottobre scorso ha subito un attacco alla propria esistenza. Alle vite di ebrei nella terra di padri e madri dell’antichità che la nascita di Israele, nel 1948, rese anche una parte di mondo nella quale ogni ebreo si sarebbe potuto sentire al riparo da ogni persecuzione.
L’appello chiede una interruzione delle ostilità «che consenta la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e l’inoltro alla popolazione civile di Gaza, in condizioni di sicurezza, degli aiuti umanitari». La salvezza delle persone catturate il 7 ottobre da terroristi integralisti islamici deve essere presupposto di una tregua, non trascurabile eventualità.
«Il sionismo è stato il legittimo movimento di liberazione nazionale e sociale del popolo ebraico e in esso sono vissuti e tuttora vivono i valori di uguaglianza, giustizia, liberazione umana della sinistra democratica», rammenta l’appello. Lo ricordassero settori della sinistra che scambiano per Resistenza milizie armate dagli eredi dell’ayatollah Khomeini.
Durante la seconda Intifada, ribellione palestinese con attentati, il grosso della sinistra italiana non capì la sofferenza di Israele e di ebrei italiani che avevano figli o nipoti costretti ad andare a scuola su autobus diversi per evitare di saltare insieme per aria. Quel vuoto agevolò rapporti tra destra italiana e governanti israeliani di destra e passi in avanti nelle relazioni. Ma entrambi gli schieramenti, nel chiedere una pace giusta, dovrebbero consolidare legami con lo Stato ebraico in sé più che con l’una o l’altra famiglia politica.

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