16 Novembre 2025

I dati del Dpef: deficit giù, ma la crescita stenta. Finiremo l’anno con un debito più basso del previsto. Ma ci sono poche risorse per tagli all’Irpef e per nuove spese

Il recente Documento Programmatico di Finanza Pubblica (Dpfp) non ha attirato molta attenzione nei media, ma è importante perché fissa i paletti che vincoleranno l’imminente legge di Bilancio, quella che dovrebbe tagliare l’Irpef e fare tante altre cose. Infatti, il Dpfp fissa il tetto al deficit pubblico e quindi il totale delle risorse pubbliche nette disponibile per il Paese. Vi offro alcuni commenti su quello che contiene e anche su quello che non contiene.
Primo, il quadro macroeconomico. Per la prima volta nella vita di questo governo, viene fissato un obiettivo di crescita del Pil reale sotto l’1% l’anno per il triennio seguente. Dopo lo 0,5% previsto per il 2025, i tassi di crescita del Pil dovrebbero essere 0,7%, 0,8% e 0,9% per il triennio 2026-28. Sembra una resa alla sindrome dello zerovirgola. In parte lo è (dove sono le «magnifiche sorti e progressive» del Pnrr?), ma di fronte ai risultati degli ultimi anni, mi sembra appropriato essere prudenti. Se poi ci saranno sorprese positive, si festeggerà.
Secondo, il quadro di finanza pubblica. Il fatto che il Dpep non abbia attirato molta attenzione riflette la relativa tranquillità in cui navigano i nostri conti pubblici, che contrasta con la preoccupante situazione del debito francese (pure Lecornu si è ora arreso). Il sentiero di riduzione del nostro deficit prosegue con qualche sorpresa positiva. Grazie al buon andamento delle entrate, come nel 2024, finiremo l’anno con un deficit più basso del previsto: invece del 3,3% del Pil si scenderà al 3%, forse uscendo già quest’anno dalla Procedura di Deficit Eccessivo in cui siamo entrati l’anno scorso. La discesa del deficit sarà lenta (2,8% nel 2026, 2,6% nel 2027 e 2,2% nel 2028). Niente sangue, sudore e lacrime, ma siamo in linea con le nuove (e meno stringenti regole europee) e poi, se gli ultimi due anni sono d’esempio, potremmo finire meglio del previsto: forse le entrate ci stupiranno ancora una volta.
Terzo, questi obiettivi, che confermano quelli precedentemente fissati e sono più o meno in linea con l’andamento a legislazione corrente, non lasciano comunque spazi significativi ad aumenti di spese e tagli di tasse senza copertura, ossia in deficit. Insomma, l’Europa accetta una discesa graduale del deficit, ma occorre attenersi a quel percorso senza sgarrare. Sto un po’ semplificando, ma la sostanza è quella: gli interventi per tagliare tasse e aumentare spese previsti in manovra dovranno essere compensati da misure di finanziamento. E cosa ci dice il Dpfp sull’entità complessiva degli interventi? La risposta è a pagina 56: gli interventi ammonteranno in media nel triennio allo 0,7% del Pil, ossia 16 miliardi e mezzo l’anno. Non molti vista la lista di priorità inclusa nel Dpfp: taglio dell’Irpef per i redditi da lavoro, più soldi per la sanità, misure per gli investimenti delle imprese, la competitività, la natalità e per conciliare vita e lavoro. E dove saranno prese le risorse necessarie? Per 10 miliardi da tagli di spesa: non pochi anche se la natura di questi tagli non è chiara (si parla di interventi che tengono conto dell’andamento del «monitoraggio e dei relativi cronoprogrammi di spesa»; puro burocratese). E per 6,5 miliardi da entrate. Il che significa, lato dolente, che la pressione fiscale, prevista salire nel 2025 al 42,8% (quasi un record) non scenderebbe molto: i tagli dell’Irpef sarebbero compensati, in buona parte, da aumenti di altre entrate.
E gli aumenti delle spese militari? Sorpresa: per ora sembrano non esserci. Il Dpfp parte confermando che nel 2025 la spesa militare, stimata dal ministro Crosetto all’1,6% del Pil in un’audizione del dicembre scorso, è magicamente salita al 2%, «utilizzando i criteri contabili definiti in ambito Nato, che inglobano anche principi di natura amministrativa» (magistrale espressione per non dire nulla!), per poi affermare che, pur essendo il governo intenzionato ad aumentare la spesa dello 0,5% del Pil entro il 2028, per ora «non si ritiene possibile riuscire a definire puntuali programmi di spesa già nella prossima legge di bilancio». Insomma, non è chiaro ancora quanto e come si spenderà per la difesa, ma quasi certamente un eventuale aumento della spesa nel 2026 sarà finanziato in deficit attivando la clausola di salvaguardia proposta dalla Commissione Europea, l’unica forma di spesa per cui non ci viene richiesto di trovare una copertura (anche se il debito che faremo sarà comunque a carico nostro).

A.N.D.E.
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