13 Ottobre 2024
netanyahu Israele

Dallo choc seguito al 7 ottobre, alla decisione di stupire con gli attacchi che hanno decapitato Hezbollah. Cosa farà ora il premier di Israele?

Un’euforia da Guerra dei Sei giorni sembra aver conquistato tanti israeliani, anche se i giorni combattuti contro Hamas a Gaza sono ormai 359 e da uno in meno va avanti lo scontro ora totale con l’Hezbollah libanese. Di sicuro ha catturato quelli ai vertici, con i consiglieri di Benjamin Netanyahu che diffondono la foto del primo ministro seduto al telefono «per approvare l’attacco» ad Hassan Nasrallah, mentre la decisione era già stata presa prima della sua partenza per New York dove ha partecipato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Oltre al tentativo di arruolare il premier nel meccanismo dell’operazione come fossero i tempi dell’unità speciale Sayeret Matkal: il capitano Bibi sarebbe andato negli Stati Uniti perché gli occhi di Nasrallah guardassero in quella direzione e non scrutassero il cielo sopra Beirut.
Bibi, com’è soprannominato, non ha mai accettato in pubblico la responsabilità per i massacri del 7 ottobre perpetrati dai terroristi palestinesi nel sud di Israele. Non ha invece esitato a prendersi il merito dei raid in sequenza che hanno decapitato i vertici dell’organizzazione libanese, un risultato che pure i critici gli riconoscono: è successo sotto il suo comando.
Secondo lo stesso principio — precisano — anche l’eccidio dello scorso autunno è avvenuto dopo che il premier più longevo nella Storia del Paese era al potere da quattordici anni, meno un paio all’opposizione.
Raccontano che nelle prime 48 ore dall’invasione di Hamas fosse sotto choc, come il resto della nazione: bloccato, incapace di riprendersi. Si è evidentemente smosso. L’aria portata da quell’euforia simile a 57 anni fa dovrebbe sbloccare anche il tempo sospeso vissuto in questi 12 mesi dai familiari degli ostaggi, 97 sono ancora tenuti nella Striscia, tra loro solo la metà è in vita. Netanyahu ripete che la pressione militare serve per riportarli indietro, Libano compreso: era stato Nasrallah a legare gli attacchi contro il Nord di Israele al cessate il fuoco a Gaza.
Fermatevi e noi ci fermiamo. Non è andata così per lui. Un osservatore attento come Aluf Benn — direttore del quotidiano Haaretz , letto dalla sinistra moderata israeliana — avverte che sarebbe il momento per una soluzione diplomatica: «Abbiamo dimostrato ai nemici che è meglio non prendersela con noi. Adesso scegliamo altre strade». Anche perché l’«anello di fuoco» acceso da Qassem Soleimani, il generale iraniano ucciso dagli americani nel 2020, è ancora infiammato, nonostante abbia perduto con Nasrallah il suo piromane principale. E degli americani Netanyahu ha bisogno per contrastare la possibile rappresaglia massiccia dell’asse sciita manovrato da Teheran. Il presidente Joe Biden e i suoi consiglieri non vogliono l’invasione di terra in Libano. Premono perché si arrivi a una pausa nel conflitto con Hezbollah e sperano di usare il periodo di calma per ottenere un’intesa a Gaza, dove i palestinesi uccisi superano i 41 mila, ammesso che i leader di Hamas siano disposti ad accettarla.
Raccontano che Ali Khamenei nelle prime 48 ore dall’uccisione di Nasrallah sia rimasto sotto choc, questa volta è toccato a lui: in lutto più che determinato a causare perdite al nemico. Nasrallah era suo amico, suggeritore, la Guida Suprema lo considerava un conoscitore della mentalità e della società israeliana. Dopo averli sorpresi, Netanyahu — confidando negli ultimi mesi di Biden alla Casa Bianca — potrebbe stupirli ancora perseguendo davvero, come ha ribadito all’Onu, il patto di normalizzazione con l’Arabia Saudita, un’intesa che trasformerebbe il Medio Oriente, una mossa che contribuirebbe a sciogliere l’«anello di fuoco» più dell’eliminazione di Nasrallah.
Certo deve accettare la nascita di uno Stato palestinese.
«Morto un leader se ne fa un altro», hanno più ho meno commentato gli oltranzisti da Teheran. «La resistenza sarà ancora più forte». Ma non può essere più forte di una pace storica tra lo Stato ebraico e la maggior parte dei Paesi musulmani che ha attorno.

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