16 Novembre 2025

Una minaccia invisibile alle democrazie. Il problema della sicurezza informatica genera per i nostri sistemi di governo un dilemma: come garantirla senza che ciò, nel medio-lungo termine, finisca per limitare, almeno in parte, le libertà personali

Guerra ibrida e libertà. La preoccupazione generale per i continui sconfinamenti russi nei cieli dei Paesi Nato ha distolto l’attenzione dell’opinione pubblica da quello che è stato sicuramente un atto di guerra contro l’Europa, un atto di guerra che è anche una possibile anticipazione del futuro che ci aspetta: l’attacco informatico che ha gettato nella disorganizzazione e nella paralisi per due giorni gli aeroporti di Berlino, Bruxelles, Londra. Giustamente, abbiamo paura che ci arrivi addosso una guerra condotta con armi convenzionali (sullo sfondo c’è anche lo spettro della guerra nucleare). Ma gli attacchi agli aeroporti, la manifestazione fin qui più spettacolare e più grave della cyber war che viene ormai condotta contro i Paesi europei da anni (con una intensificazione dall’invasione dell’Ucraina in poi) dovrebbero avere dimostrato a tutti che le guerre ora non si fanno solo con le armi da fuoco e i soldati sul terreno. Dovrebbero rendere l’opinione pubblica edotta del fatto che l’uno o l’altro Paese in un prossimo futuro potrebbe essere gettato nel caos e anche ridotto alla disperazione e alla fame senza bisogno di missili, droni e carri armati. E che pertanto occorre mettere in atto le contromisure per impedire che ciò un giorno avvenga.
Lo sviluppo tecnologico ha sempre avuto due facce, una luminosa e una oscura. Da un lato, migliora, e ha sempre migliorato, la condizione umana.
Dall’altro, mette a disposizione di chi vuole servirsene mezzi sempre più efficaci per distruggere comunità e per assoggettare le persone. Chi vorrebbe arrestarlo è un folle, non capisce quanti benefici esso generi (non ne vede la faccia luminosa). È però un imprudente chi non si preoccupi degli aspetti negativi (la faccia oscura). Tra gli aspetti negativi c’è quello di avere eroso il confine fra lo stato di guerra e lo stato di pace. È arrivato il tempo di una forma assai sofisticata di guerra ibrida.Le guerre convenzionali, come in Ucraina, continuano ad esserci. Ma adesso i mezzi di guerra che lo sviluppo tecnologico mette a disposizione di chi vuole servirsene consentono di attaccare anche in altri modi. Modi così subdoli che le persone possono credere di vivere in pace mentre invece sono i bersagli di una guerra non dichiarata e che non si manifesta attraverso la violenza fisica.
Le democrazie europee, sia pure con difficoltà e forse con troppe lentezze, stanno reagendo, cercano di approntare le necessarie contromisure. Certi Paesi scandinavi sembrano più avanti di altri. La Gran Bretagna ha adottato da qualche anno una nuova dottrina militare nella quale la sicurezza informatica ha, quanto meno sulla carta, un grande spazio. E anche gli altri Paesi, ivi compreso il nostro, cercano più o meno faticosamente, di attrezzarsi. Però può essere difficile per una democrazia approntare le misure adeguate a garantirsi la sicurezza se l’opinione pubblica non è sufficientemente consapevole della minaccia.
Peraltro, il problema della sicurezza informatica genera per le democrazie un dilemma: come garantirla senza che ciò, nel medio-lungo termine, finisca per contrarre, almeno in parte, le libertà personali?
Le democrazie occidentali, come tutti vedono, sono oggi in affanno. Minacciate dall’esterno e dall’interno. Quelle europee sono minacciate da potenze autoritarie mentre il loro storico protettore, gli Stati Uniti, non sembra più disposto a difenderle. Le democrazie sono inoltre minacciate da movimenti politici ostili alla libertà individuale(si pensi agli strappi costituzionali di Trump o a cosa sia Alternative für Deutschland che oggi, nei sondaggi, è il primo partito in Germania), fautori di una trasformazione in senso illiberale dei nostri regimi politici.
Tra le molte minacce c’è anche l’erosione, per effetto dello sviluppo tecnologico, dei confini fra stato di guerra e stato di pace. Fin quando quel confine era chiaro e netto era possibile mantenere separate sfera civile e sfera militare, l’organizzazione della vita di pace di ogni giorno e gli apparati preposti alla difesa in caso di guerra. Ma nel momento in cui entra in gioco la sicurezza informatica tutto cambia. Se imprese private, enti pubblici, sistema dei trasporti, sistema finanziario, sistema energetico, sistema della comunicazione, diventano potenziali target di attacchi, sorge l’esigenza di una difesa integrata (che è esattamente quanto oggi si tenta di predisporre). Ma una difesa integrata — indispensabile per la sicurezza — implica anche, o potrebbe implicare in futuro, una sorta di militarizzazione strisciante di ampi aspetti della vita civile. Con effetti, tutti ancora da valutare, sulla libertà di azione dei cittadini. Non c’è da fasciarsi la testa prima di essersela rotta. C’è però da riflettere su come le nuove condizioni di «non guerra/non pace» potranno essere conciliate con il mantenimento di regimi fondati sulla valorizzazione delle libertà individuali. Chi le apprezza ha sempre temuto le guerre non solo(come tutti) per le distruzioni e le sofferenze che provocano ma anche per i loro effetti negativi sulla libertà.
Sappiamo cosa comporti, da questo punto di vista, la guerra per una democrazia. La obbliga, per tutto il tempo che la guerra dura, a comprimere le libertà e a subordinare ogni aspetto della vita sociale all’esigenza della difesa. Ma solo finché dura la guerra. Possiamo facilmente prevedere che nello stesso momento in cui le armi finalmente taceranno in Ucraina (non sappiamo quando ma un giorno avverrà), riesploderanno subito in quel Paese i contrasti e i conflitti fra i partiti e le persone esigeranno — come è giusto che sia — una libertà che la guerra ha negato loro.
Ma che dire dell’erosione del confine fra guerra e pace per effetto degli sviluppi tecnologici in corso? Quali conseguenze può avere per le nostre libertà? È un terreno largamente inesplorato. Conviene occuparsene.

A.N.D.E.
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