Si procede tra decine di bonus la cui misura viene decisa in base a criteri sconosciuti. Tanto che, in altri tempi, il loro numero aveva fatto perdere la pazienza alla stessa presidente del Consiglio
Basta un numero per comprendere quanto gli italiani anche nella legge di Bilancio 2026 troveranno qualcosa, poco, ma di sicuro avranno bisogno di un Virgilio che li accompagni per riuscire ad averlo. Si compone di 137 articoli. Senza contare emendamenti e aggiustamenti che arriveranno durante il dibattito parlamentare. Da qui fino agli ultimi giorni di dicembre, quando, se la tradizione sarà rispettata, con un bel maxi emendamento e la richiesta a onorevoli e senatori di votare assieme alla legge anche la fiducia al governo, avremo la certezza che la Manovra è varata.
Quel sì non sarà comunque un risultato da poco. Lo stiamo ripetendo da qualche giorno: che il governo e la sua maggioranza abbiano inserito la Finanziaria in un percorso di salvaguardia dei conti pubblici è una garanzia da non sottovalutare e da non dimenticare mai. Possiamo permetterci di discutere, di controbattere, di criticare questa Manovra grazie al fatto che si è finalmente capito, a destra e a sinistra (si spera), che un Paese con ben oltre 3 mila miliardi di debito pubblico a fronte di una ricchezza creata ogni anno pari a circa 2.200 miliardi, non può permettersi di scherzare con le cifre. Gli esperti storceranno il naso per l’esempio, ma la verità è che siamo come una famiglia il cui introito mensile è inferiore a quello che spendiamo. Per sopravvivere siamo costretti a chiedere soldi in prestito. Ma se chi ce li presta vede che li sperperiamo è pronto a scappare e a non darcene più.
La cornice del Bilancio è quindi salva. E un primo importante compito è stato assolto. E i 137 articoli? Saremmo cattivi se pensassimo che siano il frutto delle svariate spinte all’interno della maggioranza? O dovremmo esserlo ancora di più per dire che in fondo tutto ciò sta bene all’intero Parlamento? Ogni partito della maggioranza potrà trovare il suo pezzetto di Manovra al quale attaccarsi per poter dire alla propria area di consenso di aver fatto bene. E all’opposizione di poter dire che questo o quello è sbagliato o è troppo poco.
La legge di Bilancio è la dimostrazione più evidente di quanto nel nostro Paese spesso si mescoli amministrazione e politica. Si fa fatica ad accettare che ci sia un livello di buona amministrazione che dovrebbe essere comune tale da spingere a riforme condivise maggioranza e opposizione. È difficile essere contrari a far funzionare meglio lo Stato, o a semplificare. Eppure di quei valori si parla ma tradurli in principi guida sembra essere ben più complicato. Le agevolazioni al lavoro straordinario e notturno per i lavoratori del turismo, in discussione nella bozza della Manovra, dureranno nove mesi (?). Dovranno poi essere richieste da ogni singolo lavoratore, ovunque sia impiegato, dalle trattorie agli alberghi. Altro che automatismi.
Ben pochi politici poi hanno il coraggio di difendere le agevolazioni ai ricchi che si trasferiscono in Italia. Ma visto che altri Paesi le hanno, noi non possiamo fare finta di nulla. E così invece di discuterne in una logica di sistema Italia, per far vedere che servono ma non ci piacciono ecco che in Manovra si alza la tassazione a 300 mila euro dai precedenti 200 e dai 100 ancora precedenti. Così facendo si introduce il bizzarro principio che le tasse si pagano in base a quando si è venuti in Italia, e che del Fisco non v’è certezza. E la famosa imposta su banche e assicurazioni? Sembrava ci fosse l’accordo poi si scopre che quella che doveva essere una contribuzione volontaria è di fatto obbligatoria. E si ricomincia.
L’elenco potrebbe continuare con altri provvedimenti. Che ci fanno capire quanto alla fine si discuta di legge di Bilancio in termini di soldi stanziati o da pretendere dalle varie categorie. Risultato: appare un affare (molto) delle lobby. Meno del Paese. Tanto che il dibattito tra i partiti si trasforma in una sorta di caccia al tesoro tra i 137 articoli vuoi per attaccare, vuoi per difendere la Manovra.
Eppure se l’obiettivo è il taglio delle tasse ai ceti meno abbienti, è innegabile che i vari interventi nel corso degli anni sul cuneo fiscale abbiano avvantaggiato lavoratori dipendenti nelle fasce più basse. Risultato che dovrebbe piacere a destra e a sinistra. Qualsiasi formazione politica dovrebbe accettare anche il fatto che la flat tax per gli autonomi ha introdotto notevoli distorsioni, persino nella stessa categoria, e agire di conseguenza. Ma ogni partito preferisce avere il suo provvedimento bandiera.
Si vuole agevolare la crescita? Non si può non essere d’accordo sul fatto che tra marce avanti e indietro su Industria 4.0, Transizione 5.0, Ace (sconti sugli utili investiti nella propria azienda) si lasciano le aziende nella confusione. E visto che le imprese sono le protagoniste dello sviluppo, un problema c’è. Portando l’aliquota per chi affitta una casa per tempi brevi dal 21 al 26% mentre la si abbassa dal 33 al (guarda caso) 26% sulle stable coin (le monete elettroniche, criptovalute, non garantite dalle banche centrali), il segnale appare chiaro. Da una parte, c’è chi ha avviato una mini attività e al quale si alzano le tasse; dall’altra si tagliano per chi investe in rendite così rischiose che il ministero dell’Economia dovrà varare un tavolo di controllo e vigilanza sui pericoli legati alle iniziative cripto.
Si procede così tra decine di bonus la cui misura viene decisa in base a criteri sconosciuti. Tanto che, in altri tempi, il loro numero aveva fatto perdere la pazienza alla stessa presidente del Consiglio. Si potrebbe andare avanti ancora. E lo si farà fino a dicembre.
Resterà il vizio originario. Pensare che la legge di Bilancio sia l’unica nella quale si sostanzia l’idea di Paese. E potrebbe persino essere così se ci si arrivasse sull’onda di una discussione dei punti di forza e di debolezza dell’Italia. E da quella farne discendere priorità e decisioni per una coerente Manovra. Ma così non è. E il viceversa sinora ha quasi sempre deluso. Facendone un tema di sole risorse sappiate, maggioranza e opposizione, che non basteranno mai. Ci vorrebbe la forza di coinvolgere cittadini, terze parti, imprese e famiglie sulle scelte di una collettività che riesce a farsi Stato comune.
