12 Dicembre 2024

In Islanda su 63 parlamentari trenta sono donna. È un record in Europa. Per molte ore si è pensato addirittura che le donne fossero la maggioranza. Poi il riconteggio ha sancito ancora un piccolo distacco a favore degli uomini. Ma il dato rimane. Dopo che per 12 anni l’Islanda è stata in vetta alle classifiche del World economic forum sul gender gap. Gettiamo uno sguardo al passato. Nel 1915 le donne islandesi conquistano il diritto al voto e ad essere elette, 30 anni prima di noi. Bisogna aspettare il 1922 perché una donna venga eletta in Parlamento. Ma già prima, nel 1908, una donna viene eletta in elezioni municipali. Notare che in ambedue i casi ciò avviene a partire da liste di donne. Ma fino al 1983 la presenza delle donne in Parlamento oscilla tra il 2% e il 5%. Anche in Islanda, dunque,percentuali bassissime.
È stata dura anche lì. Non solo da noi. Pensate che nel 1975, secondo il World economic forum, la differenza salariale era del 60%. Le islandesi sono costrette a lanciare uno sciopero contro le disuguaglianze di genere, con percentuali alte di adesioni. La spinta delle donne si fa sempre più forte.  È così che nel 1982 si costituisce un nuovo partito politico, l’Alleanza delle donne, che mette al centro la battaglia per le infrastrutture sociali, e l’uguaglianza di genere. Solo un anno dopo la presenza delle donne in Parlamento cresce molto e, le donne raggiungono il 25%. L’alleanza delle donne continua la sua battaglia e via via incide profondamente anche sui programmi degli altri partiti. E infatti nel 1999 si scioglie e le donne dell’alleanza aderiscono ai differenti partiti. L’Islanda è uno dei pochi Paesi in cui le donne hanno raggiunto il top a livello istituzionale sia come premier che come Presidente del Paese. Possiamo imparare qualcosa dal percorso dell’Islanda? Sì. L’Islanda ci dice che è possibile raggiungere importanti risultati verso l’uguaglianza di genere. E’ possibile se questi obiettivi si perseguono realmente, non a parole. Ci vuole volontà politica e mobilitazione delle donne. Basta iniziare a farlo e a investirci. E lo dico chiaro, iniziare, perché non abbiamo neanche iniziato se abbiamo una legge sui nidi pubblici del 1971 e nel 2021 solo il 12% dei bimbi va al nido pubblico. E se abbiamo fatto una legge sull’assistenza nel 2000 e non l’abbiamo mai applicata e il Pnrr investe briciole su questo.
Servono investimenti cospicui, politiche e strategie adeguate e permanenti. Serve mettere in condizione i Comuni di accedere ai fondi e disegnare i progetti. Serve adottare l’uguaglianza di genere come priorità reale. Serve superare il ritardo culturale profondo che caratterizza la nostra politica. Il Pnrr ha affrontato molto poco la questione. Ma non ci sono solo i fondi del Pnrr. Come ci ricorda spesso, giustamente, Carlo Cottarelli siamo ancora in tempo. Ci sono altri fondi, se c’è la volontà politica.
Proprio in questi giorni si sta parlando di patto. Proposto dal premier Draghi, rilanciato dal segretario del Pd Enrico Letta. Ma come mai anche in questo caso, per l’ennesima volta, non si parla di disuguaglianza di genere? Di piano per l’occupazione femminile? Ma pensate veramente di poter andare avanti rispondendo che avete fatto qualcosa perché avete varato il Family Act? Il Family act è un’ottima cosa, perchè razionalizza un coacervo di bonus poco efficaci introdotti nelle gestioni precedenti, ma solo in piccola parte risponde alle questioni di genere fondamentali. E ci mette poche risorse. E allora che è successo? Vi siete dimenticati? Lo avete rimosso? Troppe volte succede. Ed è veramente estenuante doverlo sempre ricordare. Se non saranno le donne a prendere in mano la situazione, l’Islanda sarà solo un miraggio per il nostro Paese.

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