16 Novembre 2025

La manovra di bilancio del governo è prudente e rispetta i vincoli europei, ma non basta

Una manovra di bilancio prudente, quella del governo, che va nella direzione giusta, è utile a tenere i conti in ordine, e che rispetta i vincoli europei. Un grande debito pubblico non è solo un corridoio lungo e stretto, ma è anche un’importante lezione di temperanza. Chi non la osserva, finisce innanzi al giudizio inesorabile dei mercati: investitori e risparmiatori sono più severi degli elettori perché giudicano con la tasca, non con la testa. Ma si poteva fare di più?
Se non si riesce a risparmiare, si può riuscire almeno ad aumentare la produttività, così diminuendo il peso che grava sulla società e sull’economia, ottenere una migliore performance amministrativa, minori vincoli per i privati, rimediare alla bassa crescita economica? In altre parole, aumentare il denominatore nel rapporto debito – prodotto interno lordo, visto che si lamenta una produttività stagnante. A parità di spesa, una maggiore produttività servirebbe a rimediare alla crescita dell’Italia, che è meno della metà di quella dell’Unione europea, e quindi a fugare i dubbi esposti ieri da Francesco Giavazzi su questo giornale.
Per aggiungere questo capitolo al bilancio, bisognerebbe muoversi sul mercato delle idee, ricordando quel che osservava, già dieci anni fa, in un dialogo con Emanuele Felice, il premio Nobel Joel Mokyr, che c’è un legame tra l’illuminismo e la rivoluzione industriale. Bisognerebbe cercare di mettere insieme nel bilancio non soltanto i numeri, ma anche le norme e le realtà amministrative, in modo che il bilancio non sia un fatto meramente ragionieristico, ma tenga conto anche della natura e del modo di operare dei poteri pubblici. Infatti, in questa seconda fase della storia repubblicana, non è esploso soltanto il debito pubblico, ma è esploso anche il peso amministrativo che grava sulla società e sulle imprese. Quindi, come si cerca di ridurre il debito pubblico, si dovrebbe cercare di ridurre questo onere, così agendo non solo sui soldi, ma anche sul potenziale di crescita, perché lo Stato non solo costa, ma anche condiziona.
Il primo passo da fare sarebbe quello di agire sui modelli organizzativi e sulle procedure. Ad esempio, su tutte le disposizioni statali e regionali che si accavallano sul territorio, dall’uso e la difesa dei suoli, alla tutela del paesaggio e delle acque, all’urbanistica, all’edilizia. Decine di complessi normativi ognuno dei quali va per la sua strada, gestiti da poteri pubblici posti a livelli diversi, che si sono andati accumulando in modo disordinato, intrecciandosi l’uno con l’altro.
Un secondo tema sul quale riflettere riguarda il governo dell’economia. Questo è ormai triplice. Da un lato c’è l’azione dei ministeri e delle regioni. Dall’altro, quello delle autorità indipendenti. Infine, a questi si sono andati aggiungendo i cosiddetti poteri speciali del Golden Power, che non solo si è inserito, ma si è anche espanso. Un ordine in questa giungla servirebbe ad eliminare molti impedimenti.
La terza strada da seguire è quella delle zone economiche speciali. La loro condizione è contraddittoria: l’ambito geografico troppo esteso; le condizioni di specialità troppo limitate. Non riescono quindi a funzionare come incubatrici. Andrebbero quindi delimitate, ma rafforzate al loro interno in modo che le condizioni di favore non siano soltanto di carattere economico, ma anche di carattere sociale, culturale ed istituzionale: ad esempio, avere istituzioni scolastiche e parascolastiche che forniscano personale specializzato. Solo così si può avere una crescita guidata dal progresso tecnologico.
Il migliore programma per imprese e cittadini consisterebbe quindi nel limitare l’eccesso della presenza pubblica inefficiente e nell’aumentare quella che serve a promuovere sviluppo economico, sociale e culturale. Questa è la migliore politica industriale che uno Stato possa fare, come ha scritto Carlo Cottarelli. Ecco un bel compito per chi voglia governare non con il misurino del contabile, ma con il metro dello statista.

A.N.D.E.
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