EDITORIALE
di Enrico Cisnetto Fonte: Terza RepubblicaSenza un’idea in testa se non quella di sopravvivere.
La decisione di portare alla Camera la nuova legge elettorale il 27 gennaio, dopo mesi di penosi rinvii, sembrerebbe essere finalmente una buona notizia.
Ma qui il condizionale è d’obbligo, anzi doppiamente d’obbligo. Prima di tutto perché, a parte il movimentismo di Renzi sul tema, nulla fa presumere che davvero quella data sarà rispettata. Ma soprattutto, perché le premesse sono tutt’altro che incoraggianti. Il nuovo segretario del Pd ha infatti proposto tre modelli all’italiana, del tutto scollegati dai sistemi usati nei paesi europei maggiormente consolidati – quelli tedesco e francese – di cui uno, quello cosiddetto spagnolo, è di fatto già decaduto. Ma il problema non sta tanto nella bontà delle proposte – le altre due sono il Mattarellum rivisitato e il modello dei Sindaci – quanto nella totale mancanza di analisi sulla condizione reale della politica italiana da cui invece occorrerebbe partire per poi dedurne la legge elettorale più utile.
Al di là delle differenze di valutazione sulle ipotesi attualmente sul tavolo, peraltro solo strumentali al mero tornaconto, i partiti sono uniti dall’idea che lo scenario politico debba rimanere bipolare e che di conseguenza il meccanismo di voto sia funzionale alla vittoria di una delle due coalizioni. Peccato, però, che il bipolarismo abbia dato prova – in vent’anni, con sei elezioni politiche, mica in qualche mese – di non essere cosa adatta all’Italia (peraltro sta mostrando la corda anche altrove). E peccato che, con l’irruzione sulla scena di Grillo, nel frattempo il nostro sia diventato un sistema tripolare.
Ma c’è un ultimo e ancor più decisivo elemento di cui pervicacemente si continua a non tener conto: l’umore dei cittadini. Gli italiani sono stanchi dell’esistente e sfiduciati circa la possibilità di un cambiamento radicale delle cose, e lo sono al punto tale che non è difficile pronosticare che al prossimo appuntamento elettorale – specie se sarà quello per l’Europa, che tutti hanno sempre considerato come il momento in cui ci si può sfogare nelle urne – il 50% circa non andrà a votare e che la metà dell’altra metà darà il voto ai pentastellari (ben sapendo che non sarà usato in giochi di alleanze, anzi saranno votati proprio per questo).
Dunque, il famoso bipolarismo, o se si vuole la semplicistica formula che ne è un surrogato (“la sera delle elezioni gli italiani devono poter andare a dormire sapendo chi ha vinto e chi ha perso”), si riduce a dividersi il 25% degli elettori. Ora, noi dubitiamo che la pur fervida fantasia degli attuali parlamentari possa partorire un sistema che in un perimetro così ristretto trovi il modo di far vincere con nettezza qualcuno, e quindi con possibilità di poter dar vita ad un governo stabile. L’unico sistema sarebbe quello di estendere anche al Senato le regole di premio di maggioranza assegnato senza limiti minimi di voti presi, finora vigenti alla Camera. Ma, come abbiamo visto, il Porcellum è stato cassato dalla Corte Costituzionale, ed è dura che di fronte a quella decisione si possa rispondere riproponendo di assegnare il 54% dei seggi a chi ha un voto più degli altri anche al Senato. Insomma, per quanto possa essere di stampo maggioritario, la nuova legge lo sarà necessariamente un po’ meno di quella che è stata cancellata. E questo mal si concilia con quell’orientamento di voto che ci permettiamo di indicare come probabile e su cui sommessamente invitiamo le forze politiche e gli opinionisti a riflettere.
Ma c’è di più. Anche ammesso (e non concesso) che si riesca ad inventare un meccanismo di voto che consenta di far vincere qualcuno pur di fronte al solo 25% dei voti utilizzabili nel gioco della formazione di maggioranze di governo, il rischio che si corre è quello che la scarsa rappresentatività che quel partito o quella coalizione può vantare nella società renda l’esecutivo e la maggioranza che lo esprime così fragili da non poter stare in piedi più di tanto.
Insomma, tante rincorse affannose e guerre sanguinose – per le elezioni, per la modalità di voto, per tenere su o buttare giù il governo Letta, per la conquista delle leadership interne dei partiti – assolutamente inutili. L’esito più probabile dopo questa legislatura di larghe intese – obbligate dalle circostanze e mal sopportate da tutti o quasi – sarà ancora un dover mettere insieme forze che si sono scontrate. E la legge elettorale che dovrebbe impedire questa “sciagurata” circostanza sarà di conseguenza un nuovo clamoroso fallimento.
Lo abbiamo già detto in questi mesi di follia ma torniamo a ripeterlo perché repetita iuvant: non sarà una legge elettorale piuttosto che un’altra a placare l’ira degli italiani e la voglia di mandare a casa tutti, magari anche quelli più giovani (se si sono intruppati nei vecchi arnesi). È già successo a febbraio 2013, e si è data la colpa al Porcellum (per via di quella difformità di assegnazione del premio di maggioranza al Senato rispetto alla Camera), mentre la verità è che quella era la prima di una serie progressiva di spallate al sistema che gli italiani vogliono dare. Ora ricommettere lo stesso errore sarebbe diabolico, oltre che imperdonabile.