16 Novembre 2025

Come un’ombra che si allarga, minimizzando il carico eversivo che porta in sé. Eversivo rispetto all’ordine che i Padri costituenti della nostra Patria hanno voluto per questa Italia, uscita a pezzi proprio dal Ventennio fascista

Nell’anno terzo dell’era Meloni, si avvera una delle promesse che la futura presidente del Consiglio aveva fatto in campagna elettorale. Diceva così: chi fino ad allora aveva dovuto nascondersi o girare a capo chino, col nuovo corso avrebbe potuto finalmente mostrarsi ovunque a testa alta e fiera. Ma chi ha dovuto girare a capo chino durante i quasi 80 anni della nostra Repubblica? La risposta è arrivata un po’ per volta e adesso dovrebbe essere chiara anche ai solutori meno abili e più onesti. Nessuno pensa al ritorno di una dittatura di tipo mussoliniano con gli orpelli che l’hanno caratterizzata: camicie nere, saluto al duce, olio di ricino, botte a chi si oppone, tralasciando il resto e il molto peggio, dall’omicidio degli avversari alle deportazioni nei lager degli ebrei. Però negli ultimi giorni le occasioni per risentire un certo olezzo si sono, certamente per caso, moltiplicate. Basta unire i pezzetti sparsi del puzzle.
A Roma, zona Brancaccio, due schiaffoni a un giornalista, colpevole di indossare una felpa antifascista e di non volersela togliere e neppure di girarla al contrario, sotto lo sguardo della compagna con in braccio il loro figlio di sei mesi. A Genova una ventina di ardimentosi multietnici fa visita con spranghe e bastoni a un liceo occupato, sfascia sedie e banchi, lascia una grande svastica sulle pareti, si dilegua nella notte. Il ministro dell’Istruzione Valditara: «Mi auguro che i responsabili di questo grave atto, sembrerebbe di stampo neofascista, siano identificati e condannati». Gli studenti vittime del raid: «Abbiamo chiamato la Polizia mille volte ma non arrivava mai». Replica: «Sono in corso accertamenti». In corso, meno male.
Intanto la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, ha spento per l’ennesima volta ogni sussurro sulla permanenza della fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia, rivendicando con tono tonitruante il dovere della memoria, che è poi quella del Movimento sociale italiano (Msi), che a sua volta spunta dalle ceneri della Repubblica sociale italiana (Rsi), ultimo atto di un regime che la Liberazione ha sconfitto e la Costituzione abrogato. «Il compito del nostro partito è pacificare il Paese in questo dopoguerra che non finisce mai». Pacificare, ecco. Come per altro, nelle stesse ore, si industriavano a fare i 700 «camerati» (definizione loro) che si sono radunati a Predappio in ricordo fervente della Marcia su Roma, 28 ottobre 1922. La famiglia Mussolini aveva pregato, inascoltata, di evitare il saluto romano di gruppo: una selva di braccia tese è scattata come una molla dopo il momento reiterato del «presente», l’omaggio delle squadracce di allora ai caduti, diventato oggi l’acme di un orgoglio soffocato per troppo tempo, anche da un paio di leggi dello Stato (Scelba e Mancino). Il «me ne frego» è un marchio di fabbrica che sta ritrovando un’insperata attualità, coralità, un trapassato remoto che si traveste da futuro prossimo.
A mettere insieme i pezzetti di questo piccolo puzzle, non esce un fascio littorio. Emerge però una maschera, che per una parte copre un’ombra che si allarga, minimizzando il carico eversivo che porta in sé. Eversivo rispetto all’ordine che i Padri costituenti della nostra Patria hanno voluto per questa Italia, uscita a pezzi proprio da quel Ventennio, tempo ormai lontanissimo e come tale più facile da sbiadire, aggiustare, cancellando i partigiani e tenendosi buoni i cattivi. Ma via, stiamo parlando di minoranze, marginalità come Forza Nuova e Casa Pound, chiassose ma in sostanza innocue. Sarà questa roba a mettere a rischio la democrazia? Sicuramente no. Resta il fatto che questa roba cresce, diventa parte di un panorama civile, prima ancora che politico, senza più neanche destare scandalo, anzi trovando legittimità di cittadinanza, autorevoli coperture e accorti silenzi per non entrare in contrasto con una parte cospicua della maggioranza che ora governa. Lo spirito prevalente di questo tempo è quello di alzare le spalle, come se manifestare una esplicita adesione agli ideali propri del fascismo stesse diventando normale, tanto più che è una corrente nera che si salda con un movimento di ultra destra molto più ampio e montante che attraversa l’Europa, alterandone i connotati.
Sì però dall’altra parte ci sono i pro Pal che spaccano vetrine, si scontrano con le forze dell’Ordine, usando la tragedia palestinese per sfogare rabbia contro il sistema e soprattutto contro un governo eletto e dunque più che legittimo. Sono quelli che impediscono a Emanuele Fiano, presidente di Sinistra per Israele, di parlare all’Università di Ca’ Foscari a Venezia, come successe a suo padre nel 1938 ma allora per mano dei fascisti, in un cortocircuito con la Storia che diventa benzina nei discorsi dell’eterna campagna elettorale nella quale siamo immersi. Non sembra però questa la strada che porta alla pacificazione. Non è accumulando dichiarazioni bellicose contro l’avversario, e vale anche per l’opposizione, che si stempera il clima d’odio che visibilmente sta lievitando.
L’Italia ha un problema strutturale di disagio sociale, per esempio con una crescita dei salari troppo bassa rispetto all’inflazione e una conseguente perdita del potere d’acquisto, come appena spiegato su questo giornale da Milena Gabanelli e Simona Ravizza. Cercare scorciatoie additando al ludibrio i nemici della Nazione, che non esistono, è soltanto propellente per quelle derive estreme che si richiamano a un passato che ci ha portato a perdere una guerra e la libertà. Al di là della sconfitta, quali valori conteneva quel passato risciacquato nella propaganda? Nessuno che sia compatibile con altri e molto diversi valori scritti nella nostra Carta. O ci si adegua a questi ultimi oppure si prova a cambiare la Carta. Ogni indulgenza perdurante verso chi non accetta le fatiche della democrazia non farà del bene al Paese, e alla lunga nemmeno a questo governo, pur lanciato verso record di longevità. La statura di una leadership si misura con i ponti che costruisce ma anche con quelli che si taglia alle spalle.

A.N.D.E.
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