13 Ottobre 2024

Appello della rettrice del Politecnico di Milano ai giovani: l’Europa è la risposta alle sfide che ci attendono

Euroscettici, europeisti con riserva, «europeisti nonostante…». Espressioni che tornano a pochi giorni dalla chiamata alle urne. Giri di parole che ben consociamo, ma che poco hanno a che fare con quella generazione di ragazzi e di ragazze che incontriamo nelle nostre università, abituati a viaggiare su e giù per le capitali «straniere» (solo sulla carta geografica, ma non certo nel loro modo di pensare e di vivere).
Secondo i dati Eurostat, 23 milioni è la misura di quanti parteciperanno per la prima volta alle elezioni europee. «Sappiamo che quando i giovani iniziano a votare in giovane età, hanno maggiori probabilità di votare in seguito» sostiene Maria Rodriguez Alcazar, la ventottenne presidente dell’Eyf (Forum Europeo della Gioventù) che da tempo si batte per abbassare l’età minima a 16 anni. Proposta questa che, tra le altre cose, fece anche Enrico Letta nominato alla presidenza del Partito Democratico nel 2021. Per molti una boutade, per altri un tentativo di dare maggiore responsabilità alle nuove generazioni.
Apporre un segno sulla scheda elettorale, infatti, non è un atto dovuto, quanto l’espressione di una responsabilità ben precisaÈ una scelta consapevole e, aggiungo, fondamentale in un momento storico in cui l’Europa sta vivendo un passaggio identitario forte. Dobbiamo, fin da subito, gettare le basi perché questo avvenga con cognizione, perché sia un processo duraturo che parte da coloro i quali prenderanno la guida delle istituzioni nei prossimi venti o trent’anni.
Dal richiamo di Mario Draghi sul fronte delle politiche economiche all’AI Act, tema che personalmente conosco da vicino, abbiamo ancora necessità di confermare una coesione europea che non solo è indispensabile nel riassetto globale, ma che dovrebbe oramai costituire una base solida da cui partire.
Sono passati quarant’anni da quando, nel 1983, il Consiglio Europeo ha gettato la basi per la nascita del primo programma quadro di Ricerca e Sviluppo (ricordo che oggi Horizon Europe è il più vasto programma di ricerca transnazionale al mondo). È nel lontano 1987 che ha preso il via l’Erasmus, che ogni anno muove circa 50.000 studenti all’interno del vecchio continente.
Oggi siamo ben oltre e stiamo lavorando a progetti che prevedono la creazione di quello che in gergo chiamiamo «one campus», un campus unico in cui muoversi liberamente, studiare e fare ricerca in diversi stati membri, tramite il finanziamento delle università europee. Ben vengano quindi iniziative quali il recente emendamento al decreto-legge elezioni, che consente agli studenti fuori sede di votare nella regione dove studiano, anche se ancora restano esclusi quanti risiedono all’estero.
Le premesse ci sono tutte, ma a dispetto di questo le nuove generazioni sono ancora le più difficili da portare alle urne e tuttavia quelle che potrebbero e dovrebbero fare la differenza. Ciò non significa che i ragazzi non abbiano coscienza politica o che rinneghino un impegno attivo. Le contestazioni di questi giorni, che ci trovino d’accordo o meno, hanno risvegliato un senso critico che, se guidato nel rispetto e nella non violenza, fa parte del diritto di opinione e di espressione. Penso che stia a noi educare i ragazzi ai valori. A loro mi rivolgo direttamente: «Se la vostra partecipazione fosse numerosa all’appello del 9 giugno, questa sarebbe una delle repliche migliori ai vostri detrattori. L’Europa unita è una risposta forte alle crisi globali, al riassetto geopolitico, alle sfide tecnologiche e sociali che ci attendono. Voi siete il futuro».

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