Giorgia Meloni Elly Schlein 1

Il duello – con toni molto accesi – in Aula alla Camera tra la premier e la leader del Pd: «Abbiamo aumentato la spesa per la sanità», «Solo un trucco contabile, ma gli italiani non sono fessi»

In genere il triello funziona così: alla fine il mondo si divide in due, c’è chi ha la pistola carica e chi scava. Stavolta, invece, la vittoria è in bilico. Meloni in camicia bianca e giacca grigia, e Schlein, in giacca vinaccia e camicia bianca, se le sono date di santa ragione, compresi colpi sotto la cintura. Elly è quella che è riuscita a innervosire di più la premier, forte pure del fatto di avere l’ultima parola. Conte è andato pure lui all’assalto, anche se con la zavorra di essere stato presidente del Consiglio, e quindi era più facile rinfacciargli scelte pregresse. Il colpo del ko non c’è stato, ma lo scontro sì, a tratti anche violento. Tanto da far dire al presidente Lorenzo Fontana, fuori dall’Aula: «Ragazzi, che battaglia!».
E sì che era iniziato tutto in sordina. Il premier time si gioca così: l’interrogante ha un minuto per la domanda. Se è della maggioranza alza la palla a Giorgia, che schiaccia, con i suoi tre minuti di replica. Se è dell’opposizione cerca di essere urticante, ma non si gioca tutte le carte, perché alla fine ha due minuti per i fuochi di artificio finali. E cosìsi andava avanti un po’ blandamente, come da copione, anche se Montecitorio era quello delle grandi occasioni, con claque e contro claque.
Ci pensa Angelo Bonelli, con alle spalle Marco Grimaldi ornato di kefiah, a duellare con Meloni su Gaza, Netanyahu e il ritiro dell’ambasciatore da Israele. Ma subito ci pensa Riccardo Molinari, che spiana la strada a Meloni con una domanda sulle forze dell’ordine. È allora che Riccardo Magi, veloce come un furetto, si mette un lenzuolo da fantasma, con due buchi per gli occhi, e incede scendendo le scale verso i banchi del governo. Protesta per i silenzi dei media sui referendum. Fontana lo espelle ma lui si lascia andare giù di peso, tenendo stretto il lenzuolo. Vitaccia da commessi: uno lo prende per le spalle, altri due gli tengono le gambe, e lo portano fuori così.
C’è ancora tempo per Maria Elena Boschi: «Lei favoleggia, vive a Meloniland». Replica: «Mi dispiace che lei debba mentire per fare propaganda». Ma è qui che la premier infila uno svarione, quando dice che lo spread è intorno a cento, e quindi i titoli di Stato italiani sono più affidabili di quelli tedeschi, chissà chi gliel’ha scritta, notte da brividi. E invece no, vuol dire che siamo sotto di cento, e pure il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è costretto a scuotere la testa.
Con Conte è sfida di sarcasmi. Lui la accusa di essersi fatta fregare due volte sul riarmo e dice che a Berlino le stanno facendo un monumento, perché con la sua insipienza da scolaretta regala soldi italiani alla Germania. Lei gli rinfaccia che quando era premier non era contro le armi neanche un po’, e gli chiede quale Giuseppi ha di fronte, visto che cambia idea a seconda di come gira il vento. Poi Conte tenta il colpaccio e chiede all’assemblea di alzarsi in piedi, in solidarietà con le vittime di Gaza. Si alzano Pd e Cinque Stelle, Meloni e tutti i suoi restano seduti. Conte: «Ah, lei non si alza!». Urla dai banchi della maggioranza: «Sciacallo!».
Alla fine è il turno di Elly Schlein, tocca a lei e per l’ultima sfida sceglie il terreno della Sanità. Si sente subito che il clima cambia, l’aria diventa elettrica. Meloni freme per cercare di inchiodarla alle proprie contraddizioni, la segretaria forse è l’unica che qua e là riesce a farla uscire dai gangheri. Si azzannano sui numeri, Giorgia le dice che nessuno come il suo governo ha messo così tanti i soldi per rilanciare il sistema. Elly ribatte che il suo è solo un trucco contabile, perché gli investimenti vanno giudicati in rapporto con il Pil. Cose da fact checking, perché è ormai appurato da molto tempo che a Montecitorio la matematica è un’opinione. Meloni la assale dicendo che gli elettori sanno capire dove è la verità, perché non sono fessi. Schlein, avvantaggiata dal diritto alla stoccata finale, la accusa di continuare a dribblare i problemi, di prendere per sé le cose che vanno bene e di scaricare sugli altri le cose che vanno male: «Ma gli italiani ormai lo capiscono il gioco!».
Primi vagiti di una sfida elettorale ancora lunga da venire, ma comunque già combattuta casa per casa e strada per strada. Difficile pure restare solo sulle barricate, visto che almeno un po’, le due donne abituate a non chiedere permesso, dovranno parlarsi, soprattutto se vogliono cambiare la legge elettorale in senso proporzionale, magari reintroducendo le preferenze.
Si allontanano tutte e due con la faccia un po’ imbronciata, ognuna delle due convinta che è andata bene, ma poteva andare meglio. Combattenti vere.

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