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Tre motivi per negoziare: oltre a trattare con l’America è necessario vedere cosa si può mettere sul piatto della bilancia per iniziare a discutere

Ha fatto bene la presidente della Commissione europea, e con lei la presidente del Consiglio italiana, a decidere di negoziare con gli Stati Uniti, evitando ritorsioni commerciali come i dazi reciproci, scongiurando una guerra commerciale tra i due lati dell’Atlantico, continuando il dialogo, mentre studia contromisure, non solo perché mostrare i denti non serve, ma anche per tre altri motivi.
Primo: non è chiaro quello che il presidente Usa mette nel conto. Nella sua lettera dell’11 luglio scorso, lamenta disparità che non riguardano solo barriere tariffarie, cioè dazi, ma anche barriere non tariffarie e «politiche». Mette, quindi, in conto anche misure regolatorie e inefficienze burocratiche. Lascia però la porta aperta al negoziato con la frase «potremmo valutare una modifica a questa lettera».

Secondo: i conti del dare e dell’avere tra le due parti costitutive di quello che chiamiamo Occidente non si fanno solo con il misurino, debbono tener conto della storia (quello che l’Europa ha fatto per l’America, quanto quest’ultima ha contribuito alla rinascita della democrazia in Europa), della cultura (i legami che legano ricercatori e insegnanti delle due sponde dell’Atlantico), dei trattati. Non dobbiamo, ad esempio, dimenticare che l’America ha dato rifugio negli Anni ’30 a grandi spiriti europei che fuggivano dal nazismo (Thomas Mann, Albert Einstein e Hans Kelsen). O fuggivano dal fascismo (Enrico Fermi, Gaetano Salvemini, Giuseppe Antonio Borgese, Guido Calabresi).

Terzo: il diritto internazionale richiede agli Stati una visione lunga, una continuità che sappia tener conto non solo dell’oggi, ma anche di quel che è accaduto ieri e di quanto si prevede per domani, e sappia prescindere o superare, anche con compromessi, divergenze temporanee, specialmente quando, come in questa fase, quello che da più di un secolo chiamiamo Occidente pare dividersi in due, ritornando nella situazione di due secoli fa, ma con un’America che agisce come padrone del mondo.
Detto questo, è anche importante accertare che cosa può esserci sui due piatti della bilancia, al tavolo dei negoziati.
Il punto di partenza riguarda i due protagonisti, di diversa statura, perché gli Stati Uniti hanno una popolazione che rappresenta solo il 76 per cento di quella europea, mentre l’Europa ha un Prodotto interno lordo che rappresenta solo il 68 per cento circa di quello statunitense.

Tra i due colossi lo scambio di beni e servizi ha avuto nel 2024 un valore di 1.680 miliardi di euro (circa un terzo del commercio mondiale), ma, mentre l’Unione europea ha un surplus di 198 miliardi sul fronte dei beni, ha un disavanzo di 148 miliardi su quello dei servizi.
Si dovrebbe, poi, tenere conto dei movimenti di capitali. Circa 300 sono i miliardi usciti dall’Unione, ogni anno, in media, nel quinquennio precedente; 420 nel 2024, in prevalenza diretti agli Stati Uniti. Alla fine del 2024 il totale delle attività finanziarie dell’Area euro verso gli Usa era di oltre 12 mila miliardi di euro. Bisogna mettere anche questo nel conto?
Infine, per fare un conteggio completo, non bisognerebbe valutare i mancati introiti fiscali causati dagli arbitraggi fatti dalle Big Tech, tutti a favore degli Stati Uniti, dove i colossi globali privati sono nati e hanno la loro base?
Perché i conti siano completi, nel bilancio complessivo dovrebbe entrare, questa volta a favore degli Stati Uniti, anche il costo della difesa dell’Europa, che va però conteggiata anche per la parte che serve alla difesa del territorio americano.

La «partita doppia» tra Unione europea e Stati uniti, come si vede, è molto complicata, ed è resa anche più difficile dalla congiuntura che vivono le due parti. Gli Stati Uniti, che avevano insegnato, attraverso le parole di un francese, la democrazia al mondo, registrano ora una fase di eclisse della democrazia interna. Già cinquanta anni fa uno storico americano segnalava che quella americana era divenuta una presidenza imperiale. Ne è prova ora questo continuo trattare mediante minacce e invocando la sicurezza nazionale, per poter concludere su posizioni di forza.
L’altra parte, l’Unione, è afflitta dalle divisioni interne e deve essere in grado di sfruttare questa ulteriore crisi per svilupparsi come organismo veramente unitario (Helmut Schmidt nel 1974 aveva notato che «l’Europa vive di crisi» e Jean Monnet gli aveva fatto eco scrivendo che l’Europa sarebbe stata la somma delle soluzioni alle diverse crisi).
Infine, ai calcoli e ai bilanci si affiancano i sentimenti. America primo amore, di Mario Soldati, un resoconto di gioie, piaceri, grandi paesaggi, nel quale era scritto che l’europeo può da un momento all’altro ammalarsi d’America, è del 1935. Sono passati 90 anni, e si vedono tutti.

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