Come e perché i votanti sono diminuiti. Ma non sempre la scarsa partecipazione al voto è un sintomo del precario stato di salute della democrazia

Perché nel 1946, al referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica, si recò alle urne l’89 per cento degli elettori, mentre ora i votanti sono stati, in Italia, poco più del 30 per cento? Dobbiamo preoccuparci perché meno di un terzo degli elettori è andato a votare, non facendo così raggiungere il quorum? Dobbiamo quindi darci da fare per modificare l’articolo 75 della Costituzione, secondo il quale la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi?
Tento di rispondere a queste domande, che stanno suscitando in molti vive preoccupazioni sullo stato di salute della democrazia italiana.
Una prima possibile spiegazione del basso numero di votanti può forse trovarsi nel fatto che la maggior parte della popolazione è convinta della bontà della Repubblica parlamentare e ritiene che decisioni del tipo di quelle proposte vadano prese, dopo accurato dibattito, dalle persone che essa ha inviato in Parlamento. Insomma, la scarsa presenza degli elettori può rappresentare un invito ai parlamentari a fare il proprio mestiere, senza scaricarlo sui cittadini. Se questa interpretazione fosse corretta, non ci si dovrebbe preoccupare, perché la scarsa affluenza alle urne sarebbe prova non di apatia politica, ma sia della fiducia popolare nei propri rappresentanti, sia di adesione alla Costituzione.
Infatti per la Costituzione il referendum nasce come uno strumento limitato: serve solo ad abrogare, non a deliberare; è escluso per le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto e di autorizzazione a ratificare trattati internazionali; è sottoposto a un giudizio preliminare di ammissibilità della Corte costituzionale.
Una seconda possibile spiegazione: dopo 77 referendum proposti in 79 anni di vita repubblicana, può anche darsi che l’elettorato sia stanco di dover dare risposte e dia, quindi, un giudizio negativo ai proponenti, non recandosi a votare.
C’è poi una possibile terza spiegazione, che riguarda i quesiti proposti e le motivazioni dei proponenti: che questi ultimi vogliano ottenere con il referendum altri scopi, diversi dall’approvazione di specifiche norme. Per esempio, in questo e in altri casi, quello di ottenere un plebiscito per o contro il governo, oppure quello di fare le prove per la ricerca di terreni di accordo tra parti politiche divise. Anche in questo caso, la scarsa affluenza alle urne avrebbe un significato positivo, perché la richiesta referendaria sarebbe nascosta o insincera, servirebbe non ad abrogare una norma di legge, ma a sostenere, contribuire a formare o contrastare una maggioranza di governo. Quindi, il risultato andrebbe valutato positivamente, come prova di maturità di un elettorato non disposto a dare un sovrappiù di significato al quesito referendario. In questo caso, contribuire al mancato raggiungimento del quorum significherebbe anche un invito ai proponenti a non nascondere dietro a un referendum il proprio vuoto programmatico, a cercare di raggiungere una maggioranza o a contrastarla, con i mezzi normali della competizione politica: studio e prospettazione di programmi e raccolta di consensi su di essi.
La quarta spiegazione è quella più semplice e consiste nella possibilità che una maggioranza dei votanti dia un giudizio negativo dei quesiti posti, talmente negativo da non meritare neppure la partecipazione al voto: è il caso di quesiti minuti, relativi a commi di legge, o su leggi troppo recenti per poterne valutare l’efficacia. Anche su questo comportamento è difficile esprimere un giudizio negativo.
Da ultimo, perché il quorum, e perché solo per i referendum abrogativi e non per quelli confermativi? Gli autori della Costituzione erano preoccupati che una minoranza di votanti, nel referendum, potesse incidere, abrogandola, su una legge approvata dalla maggioranza dei parlamentari. Così si sarebbe potuto verificare un conflitto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, perché una minoranza dei votanti avrebbe smentito leggi approvate da una maggioranza di parlamentari. Per evitare questo corto circuito si stabilì che dovesse partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto (il cosiddetto quorum). Ma, se questo è il motivo della inclusione del quorum nella Costituzione, è evidente che non si può abbassarlo, come alcuni propongono, perché in tal modo si ferisce l’impianto parlamentare della Repubblica.
Se le ipotesi che ho esposto sono corrette, le lezioni da trarne sono le seguenti: che i quesiti proposti alla votazione popolare riguardino temi importanti, rilevanti per tutta la collettività, maturati nel dibattito e nelle coscienze; che i proponenti si prefiggano un solo obiettivo, quello configurato nella domanda sottoposta al referendum, senza caricarlo di altri significati o scopi; che si conservi il quorum maggioritario perché questo serve alla difesa del sistema parlamentare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

A.N.D.E.
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.