Un dato che ci deve far riflettere è la qualità della ricerca cinese nei settori oggi più importanti per la crescita: è in netto vantaggio

La presidente del Consiglio continua a ripetere che i due maggiori successi del suo governo in campo economico sono l’aumento dell’occupazione, salita dal 60,5% nell’ottobre 2022, quando entrò in carica, al 63% di oggi, e la caduta dello spread fra i Btp e i Bund tedeschi (da 223 punti del luglio 2022 agli 89 punti dell’altro ieri), una misura dell’accresciuta affidabilità dell’Italia.
Tutto vero, certamente due successi di Giorgia Meloni. Ma la domanda che dobbiamo porci è diversa e richiede saper alzare lo sguardo e ragionare sul mondo in cui vivremo, noi e i nostri nipoti. Stiamo usando questo momento apparentemente tanto positivo per rafforzare il Paese, prepararlo alle sfide che si prospettano già dall’autunno? Non ci devono preoccupare tanto i dazi: se anche il presidente degli Stati Uniti decidesse di imporli avrebbero vita breve, perché il prezzo pagato dai cittadini americani in pochi mesi supererebbe il costo per l’Europa. Trump non rischierà di affrontare la campagna per le elezioni di midterm — che si svolgeranno fra poco più di un anno — con l’inflazione in ripresa. Negli ultimi 12 mesi è salita al 2,7% (3% per i prodotti alimentari) e Trump non ha scordato che uno dei fattori più importanti che determinò la sua vittoria nel 2024 fu il prezzo delle uova.
Le prossima vera sfida è la Cina, una sfida che si pone non solo all’Europa ma anche agli Stati Uniti, e di cui non tutti si rendono conto.
Sul New York Times di lunedì scorso David Autor, professore al Mit che anni fa per primo aveva calcolato il costo dell’ascesa della Cina per le economie occidentali, mostra alcuni dati certo non sconosciuti ma sui quali pochi, soprattutto nel governo, sembrano riflettere.
Riguardano la qualità della ricerca cinese nei settori oggi più importanti per la crescita (i numeri mostrano la quota di Usa e Cina nel totale mondiale della ricerca di maggior valore scientifico in ciascun settore; numeri analoghi per l’Ue sono nel Rapporto Draghi): acceleratori per aumentare la velocità di calcolo di un computer, Usa 6%, Cina 76%; magneti e superconduttori: Usa 26%, Cina 28%; strumenti ottici per le comunicazioni: Usa 8%, Cina 45%; processori del linguaggio: Usa 21%, Cina 22%; high performance computers: Usa 17%, Cina 36% e così via. È oramai evidente che in molte di queste industrie la gara l’ha vinta la Cina.In tali condizioni possiamo permetterci di perdere in soli 18 anni 33.000 ricercatori, quanti si sono trasferiti all’estero fra il 2008 e il 2025?
E per quelli che restano è vero che trovano più facilmente lavoro, ma i salari di ingresso dei giovani lasciano intendere che chi rimane accetta lavori «poveri» quindi a bassa produttività.
L’esempio che ci deve fare riflettere sono gli Emirati: da quei Paesi gran parte dei giovani se ne è andata, sostituita da immigrati spesso del Bangladesh che svolgono i lavori più umili, pagati una miseria, sebbene più che a casa, e segregati in quartieri lontani dalle città. È questo il Paese che vogliamo lasciare ai nostri nipoti? Un Paese di rentier serviti da immigrati e con i figli in Paesi lontani? Possiamo alzare lo sguardo e riflettere a queste sfide anziché compiacerci sulla «straordinaria qualità» del nostro piccolo mondo antico in cui sempre più raramente i nostri nipoti vivranno?
E infine, possiamo sprecare denaro pubblico per alimentare la rendita? Non penso al Ponte di Messina, sebbene non si sia ancora vista un’analisi indipendente dei benefici nel tempo di quell’opera. Penso alla norma recentemente varata che ha prolungato gratuitamente di 20 anni le concessioni di reti di distribuzione elettrica.Il governo ha usato l’argomento della mancanza di reciprocità: nessuno fa le gare! Non è vero, tanto che in Spagna, Gran Bretagna e Germania quasi la metà delle reti di distribuzione elettrica è gestita da operatori non nazionali, ad esempio Enel in Spagna. Ma non solo si è regalata una ulteriore rendita alle società di distribuzione. Poiché la cancellazione delle gare ha ridotto una fonte di reddito per lo Stato, la nuova norma la ha reintrodotta scaricandola sulle nostre bollette.

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