
La potenza economica dell’Unione rappresenta più del 18 per cento dell’economia mondiale, 5,6 per cento della popolazione mondiale, quasi il 14 per cento del commercio mondiale (più degli Stati Uniti e poco meno della Cina)
Lo scorso 16 luglio la Commissione europea ha presentato il «quadro finanziario pluriennale» 2028-2034, per assicurare l’ordinato andamento della spesa nell’ambito delle risorse proprie, come dispone l’articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell’Unione. Riguarda sette anni e deve essere approvato, nel prossimo anno e mezzo, all’unanimità dal Consiglio e a maggioranza dal Parlamento europeo.
Ha un ammontare di circa 2 mila miliardi di euro (quello precedente, relativo al 2021-2027, ammontava a 1.824 miliardi, comprensivi dei 750 raccolti sul mercato per finanziare il programma Next generation Eu). Si tratta di una percentuale dell’1,26 del Prodotto interno lordo (quello precedente era dell’1,13).
La spesa prevista è coperta, come in passato, per circa tre quarti da contributi dei governi nazionali. Alle tradizionali fonti di entrata, rimaste a lungo invariate (dazi doganali, tasse sull’energia, una parte dell’Iva nazionale, contributi sui rifiuti di plastica non riciclati, ammende), dovrebbero aggiungersi imposte sulle emissioni di gas ad effetto serra, sulle importazioni di carbonio, sulle transazioni finanziarie, sui rifiuti elettronici non raccolti, sul tabacco e sulle imprese con più di cento milioni di fatturato (dovrebbero fruttare circa 58,5 miliardi di euro).<
La gestione dovrebbe essere, rispetto ai piani precedenti, più flessibile e semplificata, nonché meno frammentata, sull’esempio degli interventi del Pnrr. Questi obiettivi potrebbero essere assicurati grazie al ricorso al partenariato con gli Stati (ma questo ha già sollevato le reazioni dei beneficiari tradizionali, a partire dagli agricoltori, che sono interessati a una stabile garanzia pluriennale, assicurata dall’Unione). Le destinazioni di spesa dovrebbero essere principalmente coesione e agricoltura (865 miliardi), competitività (410), azione esterna (200), difesa (131), Ucraina (100).
Le grandi cifre contenute nel «quadro finanziario pluriennale» si ridimensionano se si considera che si tratta di un piano di spesa settennale, per cui riguardano solo 285 miliardi per anno, con un incremento di meno del 10 per cento rispetto al piano precedente, quello approvato nel 2020. Se si paragona la spesa annuale prevista dell’Unione con quella degli Stati, si può notare che essa ha un ammontare simile a quella di un Paese membro come l’Austria, che ha solo il 2 per cento della popolazione dell’intera Unione europea e a un terzo del bilancio annuale della sola Italia, che, in termini di popolazione, rappresenta solo un settimo dell’Unione. Quindi, i «figli», cioè gli Stati, che debbono sottostare alle regole dettate dall’Unione, sono tanto più grossi e ricchi del «padre».
Inoltre, questa spesa, in apparenza grande, si rivela in realtà modesta: rappresenta solo l’1,26 per cento del Prodotto interno lordo dell’Unione, mentre la spesa pubblica media nell’Unione europea incide per circa il 50 per cento sul Prodotto interno lordo degli Stati.
La spesa europea non appare sottodimensionata solo rispetto a quella degli Stati, ma anche rispetto alla potenza economica dell’Unione, che rappresenta più del 18 per cento dell’economia mondiale, 5,6 per cento della popolazione mondiale, quasi il 14 per cento del commercio mondiale (più degli Stati Uniti e poco meno della Cina) e sta ora trattando da pari a pari con gli Stati Uniti la questione dei dazi e quelle connesse (il peso dei limiti regolatori).
Una ulteriore sproporzione, sempre a danno dell’Unione, si può notare se si compara la sua attività di regolazione con il suo bilancio.
L’Unione detta regole sul mercato interno, sulla politica agricola e sulla pesca, sulla politica commerciale, quella monetaria, quella ambientale, la ricerca, l’innovazione, l’energia, le comunicazioni, la cultura, i trasporti, fino al rumore dei tosaerba e alla qualità delle acque da balneazione. È un gigante regolatorio, ma è nello stesso tempo un nano finanziario. Non c’è un equilibrio tra la quantità di standard che detta e la quantità di entrate e spese che gestisce: quest’ultima è così limitata che impedisce il pieno svolgimento di quella funzione redistributiva che è propria di qualunque potere pubblico moderno.
Infine, c’è una sproporzione tra la domanda di nuovi compiti che gli Stati membri stessi richiedono all’Unione di svolgere e le risorse finanziarie di cui l’Unione può disporre: interventi per la pandemia, la difesa, l’aumento della competitività sono richiesti, ma, rispetto a compiti di tali dimensioni, il quadro finanziario è decisamente troppo modesto.
In conclusione, c’è una evidente sproporzione per difetto del piano di spesa dell’Unione, con qualunque metro lo si misuri. Con un bilancio che è pari a quello di uno dei suoi più piccoli Stati membri, come può l’Unione far sentire la propria voce nel mondo?Come può resistere allo squilibrio interno tra potere di regolazione e potestà di spesa? Come può far fronte ai nuovi compiti che le vengono richiesti?