auto elettrica

Dal 1 ottobre nelle città del Nord con più di 30 mila abitanti le auto diesel immatricolate prima del 2015 (Euro 5) non potranno più circolare di giorno. Il blocco è stato deciso da un decreto del governo Meloni a settembre 2023, a seguito del superamento sistematico dei limiti di Pm10. Ora il ministro Salvini accusa l’Unione Europea, e la Lega ha depositato un emendamento per rimandare il problema. Non si potranno rimandare i danni provocati dalle polveri sottili, calcolati da Ispra: in media 8.220 decessi l’anno. Come non si potranno rimandare gli effetti devastanti sull’intero pianeta del riscaldamento climatico. Il 21% delle emissioni di CO2 nel mondo, pari ogni anno a 8 miliardi di tonnellate, è dovuto ai trasporti. Di tutta questa anidride carbonica il 45% è prodotto da auto, moto e autobus.
Per ridurla l’Unione, con un regolamento votato a maggioranza da Parlamento e Consiglio, ha puntato sull’elettrico e bloccato dal 2035 la produzione del motore endotermico. Ora le associazioni delle imprese e il governo contestano: per inquinare meno non bisogna privilegiare l’elettrico, ma guardare alla neutralità tecnologica confrontando le emissioni di CO2 lungo tutto il ciclo di vita di un veicolo, dalla produzione di carburante e batterie, fino allo smaltimento finale. E vinca il migliore.

Tecnologie a confronto
Numerosi studi hanno fatto comparazioni, da quello realizzato dall’Interntional Council on clean Transportation (Icct) a quello commissionato nel 2022 dal ministero dell’Ambiente allora guidato da Roberto Cingolani e arrivano tutti alla stessa conclusione. Vediamole attraverso l’indagine più recente condotta dalla società di consulenza specializzata Ricardo Group per la Federazione internazionale dell’automobile organizzatrice, tra l’altro, del campionato mondiale di Formula 1. I veicoli presi in considerazione sono quelli a benzina (Icev-G), diesel (Icev-D), ibridi a benzina senza ricarica (Hev-G), ibridi a benzina con ricarica (Phev-G), elettrici a idrogeno (Fcev), elettrici a batteria (Bev). Per ciascuno sono state misurate le emissioni in grammi di CO2 al chilometro tenendo conto di tutto: produzione del veicolo, produzione del carburante, emissioni allo scarico durante l’uso, emissioni legate alla manutenzione e allo smaltimento.

Dalla culla alla tomba
I risultati mostrano che già oggi i veicoli migliori per ridurre la CO2 in tutto il loro ciclo di vita sono quelli elettrici: 100 grammi a km, contro i 267 dell’auto a benzina, i 197 dell’ibrida senza ricarica, i 166 con ricarica, i 136 a idrogeno. È vero che nei prossimi anni le emissioni delle auto con motore a scoppio si ridurranno grazie all’uso dei carburanti bio e sintetici, ma nello stesso tempo, con l’uso di energia sempre più prodotta da fonti rinnovabili, e l’avanzamento tecnologico nella produzione e smaltimento di batterie, anche le emissioni delle auto elettriche si ridurranno in modo ancora più rilevante. Nel 2050 le auto elettriche emetteranno un terzo di CO2 in meno a chilometro rispetto alle auto a idrogeno, l’86% in meno di quelle a benzina, l’82% in meno di un’auto diesel e il 73% in meno di una ibrida ricaricabile.
Sul mercato oggi ci sono 2 modelli a idrogeno, la Toyota Mirai (76.800 euro) e la Hyundai Nexo (78.300 mila euro), e in Italia circolano in totale 65 auto.

La partita dell’idrogeno
A conti fatti solo l’auto a idrogeno si avvicina alle emissioni dell’auto ricaricata alla presa di corrente, perché allo scarico emette vapore acqueo. Il problema è che per produrre l’idrogeno ci vuole molta acqua e molta energia. «Nell’auto elettrica a idrogeno uso l’energia per produrre l’idrogeno attraverso elettrolisi dell’acqua, poi devo fare il pieno di idrogeno, che poi a sua volta viene usato per produrre l’energia per muovere l’auto – dice Nicola Armaroli, dirigente di ricerca presso il Cnr – mentre nell’auto elettrica prendo l’energia e la uso direttamente per caricare la batteria dell’auto: in pratica, per fare gli stessi chilometri, ci vuole tre volte l’energia di un’auto elettrica ricaricata con la presa». Quindi, partendo dal presupposto che l’energia usata per entrambe le tecnologie sia prodotta da fonte rinnovabile, il processo per produrre idrogeno è meno efficiente. Sul mercato oggi ci sono 2 modelli a idrogeno, la Toyota Mirai (76.800 euro) e la Hyundai Nexo (78.300 mila euro), e in Italia circolano in totale 65 auto. Da inizio anno ne è stata venduta una sola (dati Acea) e i distributori di idrogeno al momento sono due, a Mestre e Bolzano. La Strategia Nazionale Idrogeno, del novembre 2024 prevede la realizzazione di almeno 40 stazioni entro il 2026. Tuttavia nello stesso documento si legge: «Il trasporto leggero su strada non può essere considerato un settore “difficile da abbattere”, in quanto la soluzione full electric è già una realtà consolidata. Le efficienze energetiche molto inferiori ed i conseguenti costi di gestione superiori non rendono competitivo questo tipo di soluzione che può, invece, avere applicazioni per le navi o gli autobus».

I carburanti sintetici
Si chiamano così gli e-fuels e, per produrli, si parte dall’idrogeno per poi combinarlo con la CO2 catturata nei grandi impianti industriali. Si ottiene un carburante a basse emissioni poiché l’anidride carbonica emessa durante la combustione è pari a quella utilizzata per la sua produzione. Un processo lungo, molto energivoro e costoso: oggi gli e-fuel costano fra i 3 e 5 euro al litro. Al momento le auto a e-fuel ancora non ci sono ma, dopo l’accanita battaglia della Germania, la Ue ha dato il via libera alla produzione del motore endotermico anche dopo il 2035, a condizione che sia alimentato con questo tipo di carburante. Si tratterà però di una applicazione di nicchia, per accontentare chi non vuole rinunciare alle supercar con il motore a scoppio. E infatti ci sta investendo Porsche a Punta Arenas, nella Patagonia cilena, dove ha un piccolo impianto che produce 100 tonnellate all’anno di carburante sintetico. Per avere un’idea delle dimensioni: nel mondo ogni anno utilizziamo 2,5 miliardi di tonnellate di carburante per il trasporto su strada.

Il limite e le truffe dei biocarburanti
L’Italia punta molto sui biocaburanti che, però, non sono tutti uguali, come è ben specificato nelle direttive europee. Si possono definire «bio» se prodotti localmente con materiali di scarto (degli allevamenti, dell’industria o agricoli); se invece si sottraggono terreni alle coltivazioni agricole per piantare mais o soia da trasformare in biomasse, la storia cambia.
I biocarburanti messi sul mercato in Italia sono prodotti in buona parte con materie prime che viaggiano per migliaia di km: dalla Cina arrivano 541 mila tonnellate, dall’ Indonesia 217, dalla Malesia 101. Peraltro di origine dubbia. Prendiamo i biocarburanti prodotti con il Pome, un residuo di produzione dell’olio di palma e per questo considerati sostenibili. Ma, secondo l’associazione europea T&E, la quantità disponibile di Pome sul mercato è pari a 1 milione di tonnellate l’anno, mentre il consumo dichiarato per i biofuel è di due milioni di tonnellate. Vuol dire che c’è dell’olio di palma spacciato per Pome che viene usato per produrre biocarburanti. Quindi non è più di prodotto di scarto, ma proviene da coltivazioni dedicate. Il dato certo è che biocarburanti «buoni» sono inevitabilmente in quantità limitate. Secondo Transport & Environment, quelli realmente prodotti da rifiuti e residui permetterebbero di alimentare appena il 5% del veicoli circolanti in Italia.
Resta il fatto che in base alla normativa europea in vigore i biocarburanti non potranno essere utilizzati per alimentare auto con il motore a scoppio dal 2035.
Secondo la European court of auditors «la gran parte dei biocarburanti potrebbe servire per aviazione e trasporto marittimo».

Efficienza a confronto
In conclusione se parliamo di aerei e navi l’elettrico o è svantaggioso o non funziona. Pensiamo ai voli intercontinentali: non c’è batteria adatta per renderli possibili. La batteria non è sempre la soluzione migliore nemmeno per gli autobus extraurbani, non a caso i bus a idrogeno venduti nel 2024 sono stati 903, 1.466 nella prima metà del 2025. Quindi per i trasporti pesanti tutto sarà meno impattante dei carburanti fossili e, quindi, ben vengano i biocarburanti, gli e-fuels, l’idrogeno.
Se invece parliamo di auto, come abbiamo visto, quelle elettriche sbaragliano le altre nella riduzione delle emissioni di CO2. Inoltre sono più efficienti. Secondo l’indagine di Trasport&Environment, oggi il 77% dell’energia generata dall’auto elettrica si trasforma in movimento, mentre in quella a benzina solo il 20%, il resto si disperde. Insieme alle particelle di Pm10 che rendono l’aria delle città irrespirabile. Se guardiamo al 2050 l’efficienza dell’elettrico salirà all’81%, contro il 42% dell’auto a idrogeno e il 16% degli e-fuels. Entro l’anno si riaprirà il confronto sulla normativa che prevede lo stop alle nuove immatricolazioni con motore a scoppio dal 2035. Non si usi il paravento della neutralità tecnologica per continuare con le guerre ideologiche. La transizione sarà difficile, ma inevitabile, e avrà un prezzo. Bisognerà allora prendere decisioni che tengono insieme le questioni ambientali con quelle economiche e sociali. Ma raccontando ai cittadini le cose come stanno.

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A.N.D.E.
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