Dopo la morte di Gheddafi nel 2011 è iniziato un lungo periodo di instabilità e guerra civile. Roma sostiene il premier in carica a Tripoli dal 2022, la Russia spalleggia le milizie del generale Haftar a Bengasi

Un Paese diviso, segmentato in un infinito caleidoscopio di tensioni tribali, soggetto all’influenza dei Paesi vicini, a partire da Egitto, Tunisia, Algeria e Ciad. Ma anche più distanti come Russia, Turchia, Francia e Italia, ognuno spinto dai propri particolari interessi economici e geostrategici. Questa è la Libia dalla fine della presenza ottomana provocata dall’avventura coloniale italiana nel 1911. Il golpe militare di Muammar Gheddafi nel 1967 vide il trionfo della logica dell’accentramento di una dittatura che grazie ai proventi petroliferi aveva le armi e la forza di imporre il proprio controllo lasciando però prosperare gli interessi tribali.
Lo scoppio della guerra civile nel febbraio 2011, seguito dall’intervento militare di Francia e Inghilterra, sostenuto nel primo mese dall’aviazione militare americana, condusse nell’ottobre dello stesso anno al tragico linciaggio di Gheddafi alle porte di Sirte. Doveva segnare l’inizio della democratizzazione del Paese, il popolo al potere, la nascita di un parlamento davvero rappresentativo e la fine delle ingiustizie della dittatura.
Ma tutto questo non è stato. Il collasso del regime di Gheddafi ha rappresentato un punto di svolta drammatico e sanguinoso, che ha causato migliaia di morti, destabilizzazione, il crollo delle infrastrutture, lotte furibonde tra le tribù per la gestione dei giacimenti di gas e greggio, e a tutti gli affetti alla fine dello Stato centrale. Sin dai primi mesi del 2012 la Libia si è di fatto divisa in tre entità – Tripolitania a ovest, Cirenaica a est e deserto del Fezzan a sud – a loro volta squassate da continue faide. Scontri e tensioni che spesso sono di origine assolutamente locale: il controllo di una sorgente, di una strada, di un segmento di confine per i guadagni sulla tratta dei migranti dall’Africa sub-sahariana, la lotta per i proventi di un oledotto.
Le prime elezioni dopo la rivoluzione del 7 luglio 2012 condussero alla nascita del Parlamento, che però presto vide laceranti dibattiti per la formulazione della costituzione e la Crescita di milizie islamiche radicali. L’assassinio dell’ambasciatore americano, Christopher Stevens, l’11 settembre 2012 nel consolato di Bengasi, confermò la gravità degli scontri interni. Nel 2014 la realtà della Cirenaica e la Tripolitania si consolidarono con organismi di governo rivali. Intanto,  l’Isis mandava a Derna e a Sirte i suoi jihadisti da Iraq e Siria per cercare di creare un Califfato locale. Fu allora che Khalifa Haftar, un ex alto ufficiale dell’esercito di Gheddafi, decise di creare un proprio esercito per cercare di imporre il controllo sulla Cirenaica e da qui prendere Tripoli. Nel 2016 la guerra civile vide anche lo sforzo militare delle milizie di Misurata contro Isis a Sirte, che riuscirono a vincere a fine agosto grazie al decisivo sostegno americano.
Da circa la metà del 2017 il Paese è nettamente diviso in due. Bengasi è dominata da Haftar, che una volta era aiutato dai francesi, ma oggi è stretto alleato di Mosca e gode del sostegno egiziano. Il governo di Tripoli difeso da numerose milizie locali è invece sostenuto da Roma, dato che i maggiori giacimenti di gas e petrolio sotto controllo dell’Eni si trovano nelle province occidentali. Ma nel 2019 ancora Haftar mobilitò il suo esercito e prese d’assedio Tripoli. A difendere gli assediati accorse allora la Turchia, che nell’ottobre 2020 riuscì a bloccare l’avanzata e garantire il cessate il fuoco.
Oggi prevalgono equilibri altamente instabili. La presenza russa dalla Cirenaica si è allargata al Fezzan. Le milizie della Tripolitania hanno tra loro ricorrenti scontri armati interni. Negli ultimi due mesi il premier Abdul Hamid Dbeibeh (al potere a Tripoli dall’aprile 2022) ha cercato di ridurre il potere delle milizie jihadiste, ma vi è riuscito solo in parte.

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