Milano notte

L’inchiesta sull’urbanistica a Milano ha ripercussioni a livello nazionale su centrodestra e centrosinistra in vista delle Regionali

Ritenere che la frenata quasi generale sulla richiesta di dimissioni contro la giunta del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sia solo in omaggio al garantismo, sarebbe ingenuo, se non ipocrita. La sensazione è che un suo passo indietro avrebbe creato enormi problemi al partito di Elly Schlein a pochi mesi dalle Regionali in autunno. Ma avrebbe messo nei guai anche la maggioranza di Giorgia Meloni. Non a caso la premier è stata tra i primi a sostenere che un avviso di garanzia non può provocare «automaticamente» le dimissioni. Sull’inchiesta della magistratura milanese, la destra è divisa. E, soprattutto, lo è altrettanto su un candidato da opporgli in tempi brevi. Lo scandalo di Milano diventa così lo specchio di un sistema politico debole; condizionato dalle nomenklature locali; e in difficoltà quando il potere nazionale cerca di ricalibrare equilibri radicatisi negli anni sia a livello regionale che nelle città. Per questo la scelta delle candidature rimane spinosa. E per paradosso è una sfida in primo luogo per il governo.
Ieri sera il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, leader di FI, ha confermato un vertice notturno per discuterne. Ma ha ammesso che solo alla fine si sarebbe saputo se era stato raggiunto un accordo. «Prima», ha messo le mani avanti, «è un po’ complicato». Cautela prevedibile e comprensibile. Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia, leghista, aveva anticipato che la situazione rimaneva ingessata, dopo avere incontrato Giorgia Meloni. L’intesa tra la premier, i suoi vice Matteo Salvini e Tajani e il capo di Noi moderati, Maurizio Lupi è in incubazione: anche perché il rinvio delle Regionali al 2026, ha confermato Fedriga, a questo punto è impossibile. Al massimo, si cercherà di sapere dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, «se esiste una possibilità tecnica per salvaguardare i bilanci delle Regioni».
Il garbuglio è essenzialmente politico, e non facile da sciogliere. La questione principale è rimasta a lungo la candidatura in Veneto dopo l’esclusione per divieto di terzo mandato di Luca Zaia. Si era parlato in alternativa di un suo inserimento come ministro nel governo Meloni, o di una sua lista collegata alla maggioranza: tutte varianti che confermavano la difficoltà di una soluzione condivisa dagli alleati. E questo fa il paio con l’incertezza sulla Campania e sulla Puglia. Le opposizioni sembrano decise ad accordarsi, accantonando per il momento le contraddizioni di un’alleanza che oscilla tra settori moderati e Cinque Stelle. La maggioranza, invece, convive con minori contraddizioni ma fatica a appianare i contrasti. Si tratta di tensioni che nascono soprattutto dalla competizione elettorale tra FdI, FI e Lega, e dal rapporto irrisolto di Salvini con il proprio partito nel Nord. Ma il tempo stringe, e il vertice di ieri notte ha fatto capire che ulteriori rinvii potrebbero diventare un presagio di sconfitta.

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