I motivi della scelta francese, una scommessa contro il tempo sulle residue speranze che Israele si fermi e rinunci alla strategia di conquista della Cisgiordania e di azzeramento della presenza palestinese a Gaza
Con la decisione di riconoscere lo Stato di Palestina (oltre alla concessione di status di rifugiati ai palestinesi di Gaza), Emmanuel Macron vorrebbe riunire tre obiettivi. Il primo è quello di riportare la Francia in una posizione che ha lungamente sostenuto in Medio Oriente: capacità di mediazione a largo raggio, buoni rapporti con il mondo arabo e sostegno politico a Israele. Il secondo riafferma la tradizionale difesa etica dei diritti umani, così tragicamente violati a Gaza. Il terzo, sotto traccia, riflette la consapevolezza che la questione palestinese agita e divide l’opinione pubblica interna. Da un lato, il popolo della sinistra e ovviamente gli oltre sei milioni di francesi di religione e tradizione musulmana sostengono anche nelle piazze la Palestina, in alcuni ambienti con atteggiamenti radicali e antisemiti.
La Francia ha pagato in questi anni un prezzo altissimo al terrorismo islamico e non può permettere che la questione palestinese continui a fornire materiale infiammabile a fanatici e mestatori che albergano le periferie del Paese. Dall’altro, l’estrema destra sostiene apertamente Israele per ragioni opposte. Fra due fuochi, Macron ha scelto, misurando il rischio e un calcolo elettorale, date la precarietà della sua maggioranza e la fragilità del suo governo.
La Francia è quindi il primo Paese del G7 a riconoscere la Palestina, un gesto forte con la speranza che sia da esempio ad altri Paesi europei, ma un gesto che va anche contestualizzato.
Macron ha inviato una lettera scritta di suo pugno al presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, quasi a sottolineare che il dado è tratto e non si torna indietro. Ma a determinate condizioni. Il presidente ha infatti dato appuntamento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre e ha parlato di «dinamica collettiva», una formula che sottintende la speranza che i Paesi arabi prima o poi riconoscano Israele, condizione indispensabile per credere ancora alla possibilità dei due Stati.
Quella di Macron è una scommessa contro il tempo sulle residue speranze che Israele si fermi e rinunci alla strategia di conquista della Cisgiordania e di azzeramento della presenza palestinese a Gaza. L’alternativa è non fare nulla, continuando però a ripetere a parole la formula dei due Stati, mentre Israele, con l’appoggio degli USA, persegue una strada diametralmente opposta. Un altro rischio è che la Francia faccia la parte del cavaliere solitario, viste le prudenze di Germania, Gran Bretagna e Italia sull’argomento, con il risultato che anche su questo tema l’Europa si divida.
La scelta di Macron rappresenta comunque una continuità con i predecessori e una correzione di rotta rispetto a Nicolas Sarkozy, il quale, anche per le sue origini familiari, si era molto avvicinato a Israele. Jacques Chirac aveva mandato messaggi coraggiosi a proposito delle responsabilità della Francia durante la Repubblica di Vichy e più in generale con dure prese di posizione sui fenomeni di antisemitismo, ma aveva in più occasioni pronunciato parole a sostegno della causa palestinese, attirandosi le critiche di Gerusalemme.
In realtà, tutti i presidenti francesi hanno sostenuto la soluzione dei due Stati, ma una cosa è la formula, una cosa la forza con cui la si persegue. Macron ha riletto la lezione del presidente Charles de Gaulle, il quale, dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967 dichiarò: «Israele sta organizzando, sui territori che ha conquistato, un’occupazione che non può prescindere dall’oppressione, dalla repressione, dalle espulsioni, e qui si manifesta una resistenza che definisce terrorismo». Per De Gaulle, la Francia non può avallare «i cambiamenti realizzati sul terreno con l’azione militare».
Con François Mitterrand, la Francia divenne il Paese rifugio del leader dell’OLP, Yasser Arafat, quando era ancora considerato il capo di un’organizzazione terroristica. Il 30 agosto 1982, la Legione straniera mise in salvo via mare Yasser Arafat da Beirut.
La mossa di Macron non può essere catalogata come un atteggiamento d’inimicizia verso Israele, nonostante la sferzante reazione di Netanyahu e di Trump. Al di là delle critiche per i massacri di Gaza, Macron ha sempre manifestato piena solidarietà a Gerusalemme dopo il 7 ottobre e ha espresso durissime condanne dei fenomeni di antisemitismo che percorrono la Francia. Lo scetticismo è d’obbligo, ma senza un’iniziativa forte la catastrofe umanitaria e politica del Medio Oriente proseguirà la sua corsa verso l’inferno.