I due al tavolo del re d’Olanda. Meloni rivendica gli sforzi per la difesa
Quando le hanno detto che l’Italia paga con i propri soldi uno squadrone dell’aeronautica militare italiana, che per sei o nove mesi l’anno garantisce e protegge insieme ad altri lo spazio aereo dei tre Paesi Baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, Giorgia Meloni ha sgranato gli occhi. Figuriamoci quando a forza di studiare il dossier ha scoperto che l’intero spazio aereo della Slovenia è sotto la responsabilità delle basi Nato italiane, la reazione non è stata solo di stupore.
Giorgia Meloni è arrivata ieri nei Paesi Bassi, a un vertice della Nato che definire storico non è esagerato, con un bagaglio corposo di trattative, studi e alleanze alle spalle. Ma anche con una consapevolezza del dossier che appena pochi mesi fa era ancora in formazione. Certo in qualche modo, dal punto di vista politico, il summit sarà stravolto dalla guerra in Medio Oriente, ma alcuni punti fermi, per Palazzo Chigi, restano.
Se alcuni Paesi come la Spagna o come la Slovenia sembrano costrette a rompere l’unità, o quantomeno a farla vacillare, l’Italia che l’anno scorso appariva smarrita di fronte a un’accelerazione delle spese militari dell’Alleanza oggi inizia il vertice con una premier accolta con i guanti bianchi, seduta alla cena dei reali d’Olanda accanto a Trump, ma soprattutto molto soddisfatta per il compromesso che si è raggiunto e per i prodotti frutto della nostra diplomazia. Non è un mistero che Farnesina e Palazzo Chigi abbiano lavorato negli ultimi mesi in modo massiccio, e la stessa Meloni in modo diretto, con un pool di Stati: in primo luogo i governi di Canada, Gran Bretagna e Francia, per dare a tutto l’accordo un grado flessibilità sostenibile che è stato poi raggiunto.
Al termine di un lungo negoziato, come i suoi colleghi europei, Meloni ha uno scalpo da consegnare a Trump, quel 5% di spese e investimenti entro il 2035 che è diventato quasi un totem, e come alcuni altri ha invece da rivendicare quella review programmata nel 2029: in quel momento Trump potrebbe non essere più alla Casa Bianca, e nei corridoi di Palazzo Chigi, così come in quelli dell’Alleanza che si relazionano con le capitali della Ue, si spera su possibili e ulteriori limature, al ribasso, rispetto all’accordo di oggi.
Ma una curiosità restata dietro le quinte, e che invece nei documenti dell’Alleanza atlantica è più che sviscerata, è una delle facce del grande rimescolamento di investimenti di cui si discute: se Giorgia Meloni può dire senza mezzi termini, in un contesto privato come i negoziati avuti con i suoi colleghi, che l’Italia «può fare alcuni sforzi a patto che li facciano tutti», significa che l’input di Washington, quel non possiamo pagare sempre noi per gli europei, è diventato oggetto di echi multipli e di grado inferiore: persino a Roma c’è una piccola Casa Bianca che si rivolge allo Slovenia o ai Baltici, chiedendo conto. Di questi dettagli, di argomenti che sembrano tecnici, c’era traccia nel discorso che Meloni ha sostenuto alla Camera due giorni fa: non si era mai visto un presidente citare singoli capitoli di bilancio della Nato, né spiegare che le modalità di avere un Paese più protetto significa anche decidere se il controllo dello spazio, la cyber security o i mezzi terrestri, vengano prima o dopo.
Ma di sicuro la soddisfazione maggiore ieri sera per Meloni è stata quella di essere uno pochi leader europei seduti al tavolo del re d’Olanda, accanto a Donald Trump, con il quale ha avuto un lungo confronto sulla crisi fra Iran e Israele e sugli atri temi caldi dell’agenda internazionale. Un’attenzione particolare dei reali o anche una richiesta americana?