Nei Paesi scandinavi i musei riallestiscono le loro collezioni ogni 10 anni. In Italia questa attività viene compiuta, in media, ogni 83.5 anni
Questione di idee, non di risorse. In un recente dibattito, il direttore dell’Egizio di Torino, Christian Greco, ha ricordato che, a differenza di quanto accade nei Paesi scandinavi, dove i musei riallestiscono le loro collezioni ogni 10 anni, in Italia questa attività viene compiuta, in media, ogni 83.5 anni. Tra le ragioni di tale immobilismo, c’è un vizio italiano. Sempre più spesso, i musei vengono trattati come società for profit, governate da direttori-amministratori delegati (in troppi casi, privi di conoscenze storico-artistiche), gestite secondo la logica quantitativa del profitto (numero dei visitatori, fundraising).
Per avere ancora un senso, invece, queste istituzioni altamente democratiche non devono mai rinunciare alla loro missione culturale e scientifica. E non possono smettere di ripensarsi. Non vanno ridotte a meri luoghi di conservazione e di esposizione. Ma chiedono di essere concepite come centrali elettriche sempre in movimento, capaci di interrogare se stesse, combinando tutela, ricerca e valorizzazione. Reinventare criticamente una collezione significa non esercitarsi in un passatempo melanconico, ma riscrivere il patrimonio artistico e archeologico da prospettive sempre diverse, alla luce di nuovi studi; intrecciare storia e speranza, prefigurando il possibile; difendere la memoria, innovando; mettere in scena il passato, in modo da dischiudere varchi verso il futuro. Per riaffermare così la filosofia del museo come prodigiosa macchina del tempo.