
L’età effettiva di pensionamento delle lavoratrici è di quasi 65 anni e mezzo contro i 64 dei lavoratori. Donne penalizzate anche quando diventano madri: «Peggioramento retributivo che si accentua con ogni nuova nascita», scrive l’Inps. Congedo parentale, il 92% dei padri continua a non usarlo
Il sistema previdenziale italiano è sempre più gravato dall’aumento della spesa assistenziale dovuto all’invecchiamento della popolazione, mentre la spesa pensionistica sembra più sotto controllo grazie alle numerose riforme fatte dagli anni Novanta in poi. È questo uno dei tanti messaggi che emerge dal Rapporto annuale dell’Inps presentato oggi alla Camera. «Lo stock complessivo delle pensioni in Italia – si legge -risulta sostanzialmente stabile; il numero dei pensionati, anch’esso stabile, è pari a circa 16,3 milioni, di cui il 51% femmine; le prestazioni liquidate in aumento del 4,5%. Nel dettaglio, si rileva una crescita delle nuove prestazioni assistenziali, mentre tra quelle previdenziali aumentano le pensioni di vecchiaia e diminuiscono le anticipate».
Solo le nuove pensioni di invalidità sono cresciute l’anno scorso dell’11,8%. Nel 2024 per il pagamento di tutte le pensioni (96% Inps, il resto Inail e Casse professionali) si sono spesi 364 miliardi. I trasferimenti dello Stato all’Inps per coprire le voci dell’assistenza (sgravi contributivi, integrazioni al minimo, assegni sociali e di povertà) sono stati pari a 180,5 miliardi nel 2024, in aumento del 68% rispetto ai 107 miliardi del 2016.
Le disparità
Il reddito pensionistico lordo medio (non le singole pensioni, si tenga conto che una parte dei pensionati riceve più di una prestazione) è stato di 1.860 euro al mese, ma gli uomini prendono il 34% in più: 2.143 euro in media contro 1.595 euro. Dati che riflettono carriere lavorative più povere e discontinue per le donne. Che, anche per questo, vanno mediamente in pensione più tardi degli uomini. Un sorpasso, dice il Rapporto, avvenuto nel 2020, ma che nel 2024 ha portato l’età media effettiva di pensionamento delle donne ad essere di un anno e 5 mesi superiore a quella degli uomini, che è di circa 64 anni grazie ai più frequenti pensionamenti anticipati raggiunti con 42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età.
Lavoro e imprese
Sul fronte del lavoro, il Rapporto mette in evidenza una forte ripresa dell’occupazione, accompagnata da segnali recenti di crescita anche sulle retribuzioni, fermo restando la perdita di potere d’acquisto che va avanti da molti anni (-9 punti percentuali negli ultimi 5 anni). Nonostante un milione e mezzo di lavoratori iscritti all’Inps in più dal 2019 al 2024, di cui quasi la metà (719mila) con un’età inferiore a 34 anni), in Italia il tasso di occupazione, che pure ha raggiunto il record del 63%, resta molto sotto la media europea, soprattutto per la componente femminile. Sul fronte produttivo, il Rapporto parla di «una riconfigurazione del sistema imprenditoriale, sia in termini di dimensione d’impresa (cresce il numero delle imprese grandi e diminuisce quello delle piccole), che di settori economici (cala l’incidenza dell’industria e aumenta quella dei servizi)». Ma il 98% delle aziende ha ancora meno di 50 dipendenti.
Tra le curiosità, sono arrivati a oltre 40mila i cosiddetti «cervelli rimpatriati» dall’estero grazie agli incentivi fiscali: erano 1.700 nel primo anno della misura (2016) e i due terzi hanno meno di 40 anni. In aumento anche i pensionati che si trasferiscono all’estero: quasi 38mila nel 2023, il 45% dei quali con una pensione superiore a 5mila euro al mese (Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta le regioni in cima alla classifica degli expat).
Lavoratrici madri penalizzate
Sul piano degli interventi sociali, l’Inps, nel 2024, ha versato l’Assegno unico universale a oltre 10 milioni di figli, il Bonus asilo nido per 521mila bambini, coprendo il 54% del costo delle rette e il Bonus mamme a 667 mila donne, mentre i congedi parentali continuano, anche dopo il loro potenziamento, ad essere utilizzati soprattutto dalle madri (il 92% dei padri non ha usato quello possibile nei primi 12 anni di vita del bambino).
Le donne, dice il rapporto, sono penalizzate anche sul fronte economico: «Si riscontra un peggioramento retributivo che si accentua con ogni nuova nascita. Questo fenomeno si accompagna a una significativa disparità nella probabilità di abbandono del mercato del lavoro in corrispondenza della nascita del primo figlio: mentre nel settore privato tale probabilità raggiunge il 20%, nel settore pubblico si mantiene considerevolmente più bassa, attestandosi al 6%», perché le dipendenti pubbliche madri sono mediamente più tutelate e assistite rispetto a quelle del privato.