E’ interesse vitale di noi europei, e anche degli Stati Uniti, che quella democrazia regga al centro del

La Germania è una «democrazia protetta» da quasi ottanta anni. O, come si dice con un eufemismo, una «democrazia militante». Significa che si è data (o ha accettato di darsi) una serie di vincoli per evitare il bis della Repubblica di Weimar, quando Hitler sfruttò il sistema democratico e un articolo della stessa Costituzione per imporre la sua dittatura. Tra queste limitazioni della democrazia rientra sicuramente la decisione dell’«Ufficio federale per la protezione della Costituzione», che ha classificato l’Afd come forza politica di «estrema destra», aprendo così ai servizi di sicurezza la strada per controlli e divieti.
È una scelta che può essere criticata, contestata, perfino condannata come un’intollerabile ingerenza dello Stato nella libertà della competizione democratica. Ce ne sono le condizioni. Ma innanzitutto va compresa nella storia della Germania post-bellica. E gli ultimi a stupirsene dovrebbero essere proprio i dirigenti politici degli Stati Uniti d’America, visto che furono gli Usa a sorvegliare e suggerire le norme della Costituzione che la Germania Occidentale promulgò nel 1949. Dopo la capitolazione tedesca, infatti, il mondo libero voleva garantirsi che una tirannia guerrafondaia non potesse mai più istallarsi nel cuore dell’Europa.
Siamo dunque certi che tanto J. D. Vance quanto Mark Rubio, che oggi s’ingeriscono quotidianamente negli affari interni tedeschi, e anche i molti «protestanti» della destra italiana schierati in difesa della Afd, siano a conoscenza del fatto che la Germania ha messo fuorilegge fin dagli Anni ‘50 del secolo scorso il Partito comunista. Altrettanto sicuramente sanno dei Berufsverbot, un decreto del 1972 che garantiva il potere di escludere dall’impiego pubblico chi avesse idee politiche radicali o estremiste. La norma portò a indagini su tre milioni e mezzo di dipendenti, a 2.200 interdizioni e oltre 20.00 procedimenti disciplinari. Allora fu la sinistra radicale a protestare contro quella legge, che era stata approvata da un cancelliere socialdemocratico, Willy Brandt. Uno scrittore, Alfred Andersch, scrisse una poesia rimasta celebre, intitolata Articolo 3 (3), che si apriva proprio con il terzo comma del terzo articolo della Costituzione, a suo parere violato da quella norma liberticida: «Un popolo di /ex -nazisti/ già torna a praticare / il suo sport preferito/ la caccia ai/ comunisti/ socialisti… dissidenti/ alla sinistra. Chi è a destra sogghigna». Ma allora nessuno a Washington strillò alla «tirannia», anzi. La Germania era divisa in due, il Muro di Berlino era il centro della Guerra fredda, la Repubblica federale confinava con l’Impero Sovietico: il comunismo era un pericolo reale e imminente per la democrazia, e dunque fu messo al bando.
Tuttora la Costituzione tedesca limita il ricorso al referendum su scala nazionale a casi rarissimi di cambiamento dei confini interni: è un altro aspetto della «democrazia protetta», o limitata se volete. Di recente il Bundestag ha inserito nella Legge Fondamentale le regole per la designazione dei giudici costituzionali, nel timore che l’indipendenza della magistratura possa un giorno essere attaccata, come accaduto in Ungheria e Polonia, dall’ascesa al potere di una forza di estrema destra (per cambiare la Costituzione servono infatti i due terzi).
Anche l’Italia, culla del fascismo e primo Paese al mondo a firmare una «resa incondizionata» ai vincitori della guerra, è stata una «democrazia protetta» almeno fino alla caduta del Muro di Berlino. Però Alcide De Gasperi non volle mettere fuori legge il Pci, nonostante la spinta di ampi settori della Dc e del Vaticano. Risolse il problema con l’adesione al Patto Atlantico, fissando così quella conventio ad excludendum che avrebbe tenuto comunque i comunisti fuori dal governo. Però De Gasperi varò nel 1952 la «legge Scelba», che vieta la ricostituzione del Partito fascista e l’apologia del fascismo; per quanto blandamente applicata nei tribunali, è ancora in vigore.
Nessuna sorpresa, dunque. Oggi la «democrazia protetta» tedesca fa scandalo perché tutti gli altri vincoli internazionali posti alla Germania dopo la guerra sono finiti. Dapprima la moneta unica europea, poi la riunificazione, e ora il piano di riarmo tedesco, possono dare a Berlino ciò che fino a poco fa non le era concesso: la possibilità di conquistare lo status di prima potenza politica in Europa.
Con la nascita del governo Merz comincia oggi l’«anno zero» di una nuova Germania. Che certamente non potrà mettere un argine al demone antidemocratico con norme, commi e regolamenti, di solito efficaci solo nel provocare un rigetto e portare consensi a chi si vorrebbe colpire. Si può mettere fuorilegge una setta di estremisti, non un partito del 20%. Ma attenzione: è interesse vitale di noi europei, e anche degli Stati Uniti, che quella democrazia regga al centro del Continente. Più di tutti, conviene proprio all’Italia di Giorgia Meloni cercare a Berlino un partner e un alleato; dal quale non è più divisa da reali dissensi ideologici, visto che su immigrazione, dazi americani, transizione ecologica e Ucraina le posizioni sono ormai quasi sovrapponibili. La Cdu si è spostata più a destra, i Fratelli d’Italia si sono spostati più al centro. L’Afd è un nemico da combattere con i mezzi della politica, certo. Ma forse è anche un nemico comune.

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A.N.D.E.
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