Parla il rabbino Arik Ascherman, fondatore di Torah of Justice
Nato in Pennsylvania nel 1959, laureato a Harvard, emigrato in Israele nel 1995, dopo aver terminato la formazione come rabbino: da allora e in realtà da ancora prima di lasciare gli Stati Uniti, Arik Ascherman si occupa dei diritti dei palestinesi. Fino al 2017 è stato presidente di Rabbis for Human Rights e ha poi fondato l’organizzazione Torat Tzedek-Torah of Justice. Vive in Cisgiordania, è stato più volte picchiato e denunciato dai coloni per aver difeso ed essersi interposto, anche fisicamente, tra coloni, esercito e comunità palestinesi e di beduini.
Cosa pensa degli attuali appelli internazionali per fermare la guerra nella Striscia?
La maggior parte delle dichiarazioni dall’estero riguarda la situazione a Gaza. Comprensibile, visti i numeri enormi dei morti e l’orribile quadro generale. Ma sul tema delle violenze di cui sono responsabili i coloni sento e leggo pochissime parole. Ho l’impressione che, sì, esista la consapevolezza di come la violenza dei coloni stia continuando a crescere. Manca però una discussione su cosa fare per fermarla. Ci si limita a generici appelli o visite lampo nei Territori occupati. Israele ride di questo atteggiamento o comunque lo ignora completamente.
Cosa è cambiato nel suo impegno quotidiano dopo il 7 ottobre 2023?
Da persona che ha combattuto per la maggior parte della sua vita contro ciò che definisco il demone dell’occupazione, dico che niente giustifica l’orribile massacro del 7 ottobre 2023. Ma aggiungo che quel massacro ci ha tolto la terra sotto ai piedi, a me e alle persone che da sempre denunciano l’occupazione: non mi sono mai sentito tanto isolato come da quel giorno. Persino quei pochi israeliani che sostenevano le nostre posizioni e il nostro lavoro sono spariti. Siamo ora considerati una minoranza da denigrare e della quale non fidarsi.