«Vogliamo solo aiutare durante un periodo di transizione», ha detto Trump dell’auto. Le tariffe del 25% sulle vetture importate negli Stati Uniti continueranno, ma un ordine esecutivo previene che dazi aggiuntivi, come su acciaio e alluminio, si sommino. Le paure del business
Donald Trump ha celebrato dal Michigan i cento giorni di presidenza, difendendo la sua politica dei dazi globali anche se li allenta sull’auto, il settore che è di casa nel grande stato industriale del Midwest. Da Warren nella contea di Macomb ha parlato in serata davanti a una fitta folla di fedeli e con alle spalle uno striscione che ha dichiarato “100 giorni di grandezza”, passando sotto silenzio le polemiche sulle sue tumultuose strategie economiche e sociali che lo vedono perdere quota nei sondaggi. Anzi, nel suo primo comizio dall’insediamento alla Casa Bianca, ha rilanciato: “Non avete ancora visto nulla”.
Trump in oltre un’ora discorso ha evocato le sue priorità più care, dalla lotta ai migranti, citando deportazioni di massa, ai draconiani tagli ad una burocrazia federale da “sradicare” alle guerre culturali a cominciare da quella contro “la follia transgender”.
In cento giorni ha firmato oltre 130 ordini esecutivi, un attivismo che i suoi alleati hanno paragonato ad un Roosevelt rovesciato (FDR aveva ampliato il ruolo pubblico e le protezioni sociali), tralasciando la differenza di sostanza: Trump ha finora agito per decreti spesso portati in tribunale, Roosevelt aveva passato cruciali legislazioni. Trump ha promesso che nel prossimo futuro arriveranno anche leggi, anzitutto sugli sgravi fiscali.
“Ci stiamo riprendendo il Paese da una classe politica malata – ha affermato dal Macomb Community College – Invece di mettere al primo posto la Cina, io metto il Michigan e l’America primi”. Un riferimento alle offensive tariffarie particolarmente pesanti con Pechino. Non ha poi mancato di lanciare nuovi attacchi a chi considera un suo nemico interno nell’agenda economica, il chairman della Federal Reserve Jerome Powell pur senza più menzionare un suo licenziamento: “So molto più io di lui sui tassi di interesse, credetemi”, ha detto, accusando Powell di non avere ancora abbassato il costo del denaro per aiutare un’economia che secondo molti analisti è oggi Trump a spedire in possibile crisi con incontrollati conflitti commerciali.
Parlando dei dazi sull’auto in un’area dominata dalla produzione manifatturiera, il Presidente ha assicurato che il 25% imposto su veicoli in arrivo dall’estero creerà in futuro posti di lavoro. Ha però anche citato alcune nuove esenzioni offerte al settore allo scopo di evitare eccessivi shock immediati. Trump con un nuovo ordine esecutivo intende «aiutare durante un periodo di transizione, a breve termine». Anche se non è affatto chiaro agli analisti che il ritocco basti a scongiurare traumi. Trump ha oltretutto mantenuto un linguaggio durissimo con le aziende: “Gli diamo un po’ di tempo” per spostare la produzione negli Usa “prima di massacrarli se non lo fanno”.
Dazi, Trump: con Cina faremo accordo ma deve essere equo
Il Presidente si è rivolto agli americani anche con interviste televisive quando si tratta di tariffe. “Se li meritano”. Così Trump ha sostenuto alla Abc News, ha risposto alla domanda se i dazi alla Cina al 145% equivalgano di fatto a un embargo. “Ci stavano fregando come nessuno ci aveva mai fregato prima. Non lo fanno più”, ha detto il presidente.
Parlando al comizio il presidente Usa ha poi specificato: «Con i dazi alla Cina stiamo mettendo fine al più grande furto di posti di lavoro», ha detto Donald Trump, tornando a puntare il dito contro le pratiche commerciali di Pechino, per poi specificare: «Faremo un accordo, ma deve essere equo».
Il mondo del business, lontano da interviste e comizi presidenziali, è sempre più preoccupato. La guerra commerciale scatenata dal tycoon si fa sentire sui conti e ancora di più sulle prospettive delle imprese. Amazon ha sfidato le ire dell’amministrazione repubblicana facendo intendere che potrebbe evidenziare l’impatto dei dazi sui prezzi. Adidas ha parlato di «inevitabili» rincari sui prodotti destinati agli Usa.
Più articolato è diventato il discorso sull’auto, segno che qualche timore si fa strada tra gli etssi collaboratori della Casa Bianca. La decisione sulla revisione delle tariffe sui veicoli in arrivo dall’estero, più in dettaglio, prevede che le case che pagheranno i balzelli sui modelli importati, pari al 25%, non siano tenute a versare anche altre tasse alla dogana, come quelle su acciaio e alluminio, pari a loro volta al 25%. Insomma i colpi al commercio non si sommeranno e, con effetto retroattivo, le aziende saranno rimborsate per quanto versato in eccesso.
Cambio di rotta
Di più: le misure sui dazi alle componenti auto, a loro volta del 25% e che entreranno in vigore dal 3 maggio, verranno corrette. Le case verranno ripagate per dazi su parti usate per costruire vetture negli Usa, fino a un massimo del 3,75% del valore di ciascun veicolo durante il primo anno e del 2,5% nel secondo. «Vogliamo offrire alle case automobilistiche un cammino per creare velocemente e con efficienza più impieghi possibili negli Usa», ha spiegato il segretario al TesoroScott Bessent.
Il sollievo della grande industria Usa
I vertici dei grandi marchi Usa – da Ford a Gm – hanno tirato un sospiro di sollievo, promettendo di continuare a cooperare con il governo. I titoli di Ford e Stellantis sono subito saliti a Wall Street dell’1,2% e del 4,3%.
Ma sul commercio internazionale permane un clima di generale incertezza: Gm nel riportare un calo dei profitti del 6,6% nel primo trimestre ha comunque cancellato le previsioni sugli utili 2025, denunciando «la natura in evoluzione della situazione» e la convinzione che «il futuro impatto di tariffe potrebbe essere significativo», come ha detto il direttore finanziario Paul Jacobson.
Ancora nell’auto, Volvo ha eliminato la guidance e Porsche ha calcolato una zavorra extra da almeno cento milioni di euro tra aprile e maggio. In altri settori, Kraft Heinz ha sospeso le previsioni. Adidas, nonostante abbia accelerato le consegne negli Usa per anticipare le guerre commerciali, ha spiegato che le tariffe provocheranno «inevitabili» rincari, e ha evitato di migliorare l’outlook della propria performance finanziaria.
Il colosso delle spedizioni Ups ha annunciato il taglio di 20mila posti di lavoro, sottolineando – con la ceo Carol Tome – ripercussioni per gli scambi «mai viste» nell’ultimo secolo. Electrolux ha sottolineato la debolezza degli acquisti in questa fase. Mentre Amazon – secondo indiscrezioni – starebbe considerando di evidenziare nelle etichette di prodotti sul suo sito a basso costo, la parte del prezzo dovuta ai dazi: l’ipotesi, poi smentita, ha scatenato uno scontro immediato con la Casa Bianca che ha definito l’iniziativa «ostile e politica». Lo stesso Trump è intervenuto direttamente chiamando al telefono Jeff Bezoscon «toni molto arrabbiati», secondo la Cnn.
Economia americana in sofferenza
I dati economici mostrano a loro volta le tensioni crescenti sull’economia americana: la fiducia dei consumatori misurata dal Conference Board in aprile è caduta ai minimi dalla pandemia, con l’indicatore delle aspettative che suggerisce una recessione ormai in agguato. Il Pil Usa del primo trimestre oggi dovrebbe, secondo le attese, mostrare una crescita quasi azzerata, lo 0,3%. Nel frattempo gli indici di Borsa a Wall Street hanno sofferto il peggior andamento in cento giorni dalla presidenza di Richard Nixon negli anni Settanta. Un quadro che lascia la Federal Reserve nel dubbio tra il sostegno all’espansione con il taglio dei tassi, e il timore di nuove fiammate inflazionistiche.
Il segretario al Tesoro Bessent ha sostenuto ancora una volta la manovra di Trump sui dazi come una efficace scelta di «incertezza strategica» e ha promesso accordi in arrivo con diversi Paesi. Bessent ha anche affermato che uno scontro commerciale è «insostenibile» soprattutto per la Cina, che potrebbe perdere «fino a dieci milioni di posti di lavoro» in tempi rapidi. Osservatori esterni sono molto più scettici: il re degli hedge fund Ray Dalio ha detto che è ormai “troppo tardi” per sfuggire ai gravi danni economici causati della guerre commerciali di Trump.
I sondaggi, di certo, mostrano un Trump arrivato in affanno al comizio di Macomb e al traguardo dei cento giorni. Il suo tasso di approvazione è a minimi, vicino al 40%, e risente soprattutto della bocciatura sull’economia e sul commercio, oltre che sulle durissime misure contro l’immigrazione. Difficilmente il rilancio di America First dal podio del Michigan potrà sanare i traumi economici e sociali già visibili negli Stati Uniti e tranquillizzare gli americani.