
La linea dello zar misteriosa anche coi fedeli
La scommessa dei suoi fedelissimi è sul silenzio. Alla ripresa dei lavori parlamentari, dopo vacanze lunghe un mese, i deputati di Russia Unita, il partito del presidente, sostengono che «Lui» non si degnerà di rispondere all’ultima uscita di Volodymyr Zelensky, il quale ha detto di aspettarlo a Istanbul, a patto che prima accetti il cessate il fuoco di durata mensile che gli è stato proposto dalla «coalizione dei volonterosi» d’Europa in visita a Kiev. «Ammesso e non concesso che ci saranno dei negoziati», dice il vicepresidente della Camera alta Kostantin Kosachev, «l’iniziativa spetta a noi, perché a quel che mi risulta, non è chi sta perdendo che deve porre le condizioni preliminari».
Giorno di pioggia, vento gelido e dilemmi che nessuno si azzarda a sciogliere. I deputati che si considerano meno distanti dal vero potere sostengono che Vladimir Putin ha deciso di tenere la conferenza stampa di sabato notte senza avvisare nessuno. Soltanto un messaggio al fedele Dmitry Peskov, affinché convocasse i giornalisti autorizzati a seguire il Cremlino. Nient’altro. Le «dichiarazioni importanti» che avrebbe fatto il presidente erano sconosciute anche al suo portavoce. È una versione confermata anche dai media russi meglio introdotti, che la dice lunga sul grado di condivisione delle decisioni da parte del presidente russo.
Andare o non andare, tregua e negoziati oppure negoziati e poi tregua? La prima opzione sembra esclusa, anche se una eventuale presenza di Donald Trump potrebbe essere l’ennesima variabile di questa tormentata trattativa preliminare.
La voce dei peones parlamentari, e anche quella dell’opinione pubblica, considera improbabile la possibilità di un dialogo diretto tra i due presidenti: tra protocolli di sicurezza e controlli sul posto, ci vogliono settimane per preparare un viaggio di Putin all’estero. Inoltre, come dice lo stesso Kosachev, ci vuole tempo anche per preparare i dossier sui quali poi discutere, senza dimenticare che «stiamo parlando di due uomini che si detestano dal profondo del cuore».
Rimane il tema del cessate il fuoco, posto come condizione ineludibile da Zelensky e dai leader europei. Ma anche una eventuale accettazione da parte di Putin non autorizzerebbe a considerare più vicina la pace. Entrambe la parti in causa sembrano infatti più interessate in questa fase a compiacere Trump. La missione che più conta sia per la Russia che per l’Ucraina appare quella di non sembrare il problema più grande per una Casa Bianca che ha bisogno di ottenere un risultato, uno qualunque, sul piano internazionale.
È quasi un paradosso il fatto che su questo punto si trovino concordi i cosiddetti analisti indipendenti, ormai tutti residenti all’estero per le note questioni legali, e quelli russi, che mettono in risalto l’autorità con la quale Putin sembra aver ripreso in mano una situazione che sembrava essergli sfuggita di mano. «La realtà è che né Mosca né Kiev sono pronte ad accettare una pace continuativa perché le loro posizioni sono fondamentalmente inconciliabili», scrive Tatiana Stanovaya, cremlinologa di opposizione. «Obiettivamente è impossibile raggiungere un prolungato cessate il fuoco».
Non siamo poi così distanti dalla conclusione cui giunge il suo opposto, ovvero il vicerettore dell’Accademia diplomatica Oleg Karpovich: «L’armistizio sarà possibile solo se Kiev accetta un dialogo serio, disponibile a tenere conto delle richieste russe. Per ora non vediamo mosse di questo genere».
Grigory Karasin non è un osservatore esterno, ma uno dei diplomatici che potrebbe fare le valigie per Istanbul, avendo guidato la delegazione che ha preso parte ai colloqui sull’Ucraina che si sono tenuti il mese scorso in Bahrein con gli emissari degli Usa. Eppure, il presidente della Commissione Esteri del Senato e attuale negoziatore, non si aspetta grandi cose. «Leggendo bene quello che è stato dichiarato a Kiev, è chiaro che si tratta solo di una prova di forza, e questo mette in guardia il presidente e tutti noi». C’è sempre la speranza che qualcosa possa cambiare. Ma al momento, come scrive con acume lo storico inglese Mark Galeotti, sia Putin che Zelensky sembrano avere in comune l’interesse non a negoziare, ma soltanto a far vedere che uno desidera farlo più dell’altro.