Dopo tanti accorati richiami al diritto internazionale e condanne di massacri di civili, che in fin dei conti la vittoria resta nel campo dei «cattivi», Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu
Più volte, i leader europei hanno annunciato l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, salvo lasciare nel limbo percorsi e date possibili. Dall’inizio della guerra, hanno manifestato a Kiev una solidarietà a tutto campo, che comprendeva aiuti economici, accoglienza profughi e soprattutto armi, tuttavia manifestata a intermittenza e con il contagocce. L’impegno per la ricostruzione è importante, ma non sufficiente : un pacchetto di dieci miliardi, quando le stime dei danni di guerra ammontano a oltre cinquecento miliardi.
E dall’inizio della guerra, la narrazione ufficiale prevedeva il crollo della Russia a colpi di sanzioni, l’isolamento internazionale di Mosca e – secondo i bene «informati» – malattie irreversibili e pazzia di Vladimir Putin. Infine, si sono fatti calcoli approssimativi sull’impegno americano: che è stato notevole sotto la presidenza Biden, così da illudere gli ucraini della possibile vittoria, ed è evaporato sotto la presidenza Trump, con l’aggiunta di una sostanziale presa in giro del povero presidente ucraino Zelensky, con il quale si sono presi impegni confermati e disattesi a distanza di ore, come appunto l’invio di sistemi antimissile Patriot che la Casa Bianca non ha ancora deciso se tenere o meno nei propri magazzini. Una beffa che gli ucraini hanno giustamente definito «disumana».
Tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi e immense distruzioni hanno portato a questo quadro disperato. E mentre si rinnovano promesse verbali a Kiev (si è anche parlato di ingresso rapido nell’ Unione Europea) la Russia intensifica a dismisura i bombardamenti per trattare da posizione di forza e rendere irreversibili le conquiste territoriali.
L’Ucraina è anche vittima collaterale della crisi in Medio Oriente, che ha totalmente deviato l’attenzione internazionale e ha evidenziato quali siano oggi le priorità della Casa Bianca: sostegno incondizionato a Israele, rapporto privilegiato con i Sauditi, affari immobiliari con gli arabi moderati, isolamento e possibile cambio di regime in Iran, espulsione dei palestinesi da Gaza.
In altre parole, per l’amministrazione Trump, decisa peraltro a riaprire un dialogo con Mosca, il conflitto in Ucraina è poco più di una scocciatura, da mettere — ad uso interno — sul conto dei fallimenti dell’amministrazione Biden.
Purtroppo, si sta materializzando nel modo peggiore il minaccioso monito di Putin, che all’inizio del conflitto propose a Zelensky di trattare subito, perché «dopo sarà peggio». Anziché concedere l’autonomia del Donbass, secondo lo schema degli accordi di Minsk 2014, l’Ucraina dovrà rassegnarsi a una sostanziale amputazione.
Ed è triste constatare, dopo tanti accorati richiami al diritto internazionale e condanne di massacri di civili, che in fin dei conti la vittoria resta nel campo dei «cattivi», Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu. Entrambi ricercati dalla Corte penale internazionale dell’Aja, entrambi oggetto di proteste e giudizi morali, entrambi abilissimi nel costruire l’alibi perfetto (il terrorismo di Hamas, l’espansione della Nato ad Est) per perseguire analoghi obiettivi di espansione territoriale, facendo terra bruciata in Ucraina e a Gaza. Entrambi, infine, inarrestabili, grazie al sostanziale semaforo verde del presidente Donald Trump, il quale ha continuato a sostenere militarmente Israele, ha ridotto l’aiuto all’Ucraina e nemmeno alza la voce con Putin.
La vittoria dei «cattivi» è anche la sconfitta del diritto internazionale e umanitario, di quei valori che la sola Europa pretende ancora di difendere senza tuttavia essere capace di mettere in campo un’azione politica forte, autonoma e coerente. Prona al disegno americano della futura Nato, imbelle nella battaglia sui dazi, l’Europa è stata soltanto capace di combattere la Russia a colpi di sanzioni, facendo del male anche a se stessa. Nemmeno la solidarietà per ucraini e palestinesi ha lo stesso suono, su uno spartito condizionato da reazioni culturali e storiche e dal vecchio vizio dei due pesi e delle due misure. Come se i bambini ucraini e i bambini palestinesi non facessero parte della stessa razza umana.