La repressione delle proteste in America rischia di segnare il passaggio a un assetto più autoritario
Quello che sta avvenendo in California in queste ore, documentato da centinaia di video, ci precipita nel grande tema di questo tempo: la modificazione profonda, radicale, del potere.
Trump sceglie un tema, quello dell’immigrazione, sul quale sa di godere di vasto consenso nella sua impaurita opinione pubblica, e opera una forzatura che ha a che fare con la tenuta delle istituzioni democratiche americane.
Le squadre dell’Ice che girano come faine per le strade di Los Angeles o di San Francisco a caccia di immigrati da arrestare, con tanto di immediate manette ai polsi, i figli piccoli strappati dalle braccia delle madri, mogli e mariti separati dopo che gli agenti hanno spaccato a colpi di bastone i vetri delle auto dove si trovavano, le figlie che urlano a madri portate nel furgone cellulare tutto il loro amore e la loro disperazione… La risposta sono manifestazioni spesso disperate, che sfociano in violenze e saccheggi che Trump usa per accendere ancora di più il fuoco, in un gorgo assai pericoloso.
Nelle modalità assolutamente brutali, disumane con le quali il presidente degli Usa sta conducendo questa operazione c’è l’avviso di un cambio di fase, di un passaggio della democrazia americana a un assetto diverso, quello che il governatore della California ha definito «un passo inequivocabile verso l’autoritarism».
La questione immigrazione è il grimaldello ed è obiettivamente pericoloso. Pur di vedere fuori dagli Usa gli immigrati, accusati in toto e senza prove di criminalità, una parte del paese è disposta a ignorare elementari principi di umanità per appagare il proprio bisogno di rassicurazione. Quando l’economia è in crisi, quando la redistribuzione della ricchezza si blocca, quando insorgono inquietudini sul collettivo futuro ci si abbarbica a quello che si ha e si considerano gli altri, anche i più simili a sè, come il pericolo. È uno scambio: libertà per sicurezza, che connota tutte le avventure autocratiche di questo tempo. E questo baratto può apparire vantaggioso, lo dicono i risultati elettorali in tutti i Paesi occidentali, specie tra gli stati popolari. Un problema reale.
Ma l’escalation, pure verbale, che Trump ha dispiegato in questi giorni serve anche a mascherare molte cose: il taglio al Medicare e Medicaid che colpisce i più poveri, l’aumento del debito pubblico e il caos prodotto dall’amministrazione nel conflitto con chiunque. A cominciare dal principale finanziatore della sua vittoria, Musk, per continuare con la farsa dei dazi e con le intimidazioni verso università e studi legali, giornali, avversari politici. O al fallimento clamoroso del guasconesco proposito di mettere fine in 24 ore a tutti i conflitti del globo.
Le cose devono essere chiamate con il loro vero nome, vanno riconosciute per quello che sono.
L’escalation determinata in California è sorella dell’invasione del Campidoglio e della successiva amnistia. Il segnale chiaro è che la democrazia è un fastidio, che il parlamento o un governatore sono escrescenze fastidiose per il potere narcisistico di una persona sola che vuole accentrare la decisione solo nelle sue incerte e pericolose mani.
A Los Angeles si sono violati i diritti umani fondamentali e penso che questo non possa sfuggire al primo papa americano della storia. Trump sembra infatti voler provocare Leone XIV proprio su un tema cardine dell’identità cristiana, quello della solidarietà verso gli ultimi.
L’immigrazione, sia chiaro, è un problema per tutte le società sviluppate, è il frutto della disperazione sociale, delle catastrofi ambientali, delle guerre che insanguinano tanta parte della terra.
Ed è chiaro che anche la sinistra deve affrontare con i suoi valori questa sfida, non far finta che sia un’invenzione. Nelle società occidentali bisogna trovare un equilibrio tra accoglienza di chi fugge dalla fame e sicurezza di chi ospita. Ma non si può, è criminale farlo, identificare tout court un immigrato con un delinquente, spezzare per ragioni di propaganda, di pura propaganda, famiglie e vite, seminare panico.
Le scene che provengono dalla California fanno pensare ad altre «deportazioni», Guantanamo finisce con l’assomigliare ad altri luoghi di contenimento, nuovi gulag.
La Civil War vaticinata tempo fa da un film è uscita dallo schermo e dalla finzione. Le parole «coprifuoco» e «stato d’assedio» entrano senza colpo ferire nel lessico di un grande Paese democratico come gli Usa.
In questo tempo di radicalizzazione e di demolizione dei bastioni della saggezza e dell’equilibrio della democrazia, tutto, davvero tutto, sembra diventare possibile.
Riconoscerlo, senza equivoci, è il modo migliore per contrastarlo, nell’interesse di tutti.