13 Ottobre 2024

Status di rifugiate, anche alle minori, che credono nella parità uomo donna. Idee che possono mettere a rischio la loro incolumità nel paese d’origine

Via libera al riconoscimento dello status di rifugiate per le donne, minori comprese, che hanno idee in linea con i valori dell’occidente sulla parità tra uomini e donne. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha, infatti, chiarito che, a seconda delle condizioni esistenti nel loro paese d’origine, possono essere considerate appartenenti a «un determinato gruppo sociale», in quanto «motivo di persecuzione» idoneo a condurre al riconoscimento dello status di rifugiato, le donne cittadine di tale Stato che condividono come caratteristica comune l’effettiva identificazione nel valore fondamentale della parità tra donne e uomini, maturata nel corso del loro soggiorno in un Paese Ue.

La nuova identità
Gli eurogiudici hanno precisato che, sebbene il giudice del rinvio abbia fatto riferimento alle «norme, i valori e i comportamenti occidentali, fatti propri da cittadini di paesi terzi mentre, in una parte considerevole della fase di vita in cui formano la loro identità, soggiornano nel territorio di uno Stato membro e partecipano nella massima misura possibile alla vita sociale», dall’ordinanza di rinvio risulta che essa mira, in sostanza, all’effettiva identificazione di tali donne nel valore fondamentale della parità tra uomini e donne nonché nella loro volontà di continuare a beneficiare di tale parità nella loro vita quotidiana.

e giovani irachene
Il caso esaminato dai giudici di Lussemburgo, riguardava due adolescenti irachene che avevano soggiornato ininterrottamente nei Paesi Bassi dal 2015. Dopo il no alle loro domande di protezione internazionale iniziali, le ragazze non hanno desistito e ne hanno presentate molte altre, motivando le loro istanze. Le giovani hanno, infatti, spiegato che, nel corso del loro soggiorno prolungato nei Paesi Bassi, avevano fatto propri i valori, le norme e i comportamenti, dei loro coetanei, conosciuti nel contesto sociale in cui avevano vissuto. Idee di libertà che non avrebbero più potuto esprimere in caso di ritorno in Iraq. Un Paese nel quale ci sono delle regole che non sentivano più loro e alle quali non credevano di potersi più conformare. Difficile dunque il reinserimento, in una società che non concede alle donne e alle ragazze gli stessi diritti di cui dispongono gli uomini. Da qui il timore di essere esposte a un rischio di persecuzione a causa dell’identità che si erano create nei Paesi Bassi.

Il rischio persecuzione
Ragioni che non hanno convinto le autorità dei Paesi Bassi che hanno continuato a respingere le loro domande, inducendo le due donne a rivolgersi ad un giudice dei Paesi Bassi che ha deciso di interrogare la Corte di giustizia sull’interpretazione della direttiva 2011/95 sulla protezione internazionale, che definisce i requisiti per la concessione dello status di rifugiato di cui possono beneficiare i cittadini dei paesi terzi. Uno status previsto in caso di persecuzione di ogni cittadino di un paese terzo per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.
La Corte Ue ha affermato che, se il richiedente protezione internazionale è un minore, le autorità nazionali devono necessariamente tenere conto del suo interesse superiore nell’ambito di un esame individuale relativo alla fondatezza della sua domanda di protezione internazionale.
Inoltre, per valutare una domanda di protezione internazionale fondata su un motivo dipersecuzione quale «l’appartenenza a un determinato gruppo sociale», può essere preso in considerazione un soggiorno di lunga durata in uno Stato membro, soprattutto quando coincide con un periodo nel corso del quale il minore richiedente ha forgiato la propria identità.

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