Una democrazia liberale può prendere provvedimenti contro chi si propone di minarne i fondamenti? I fascismi novecenteschi si affermarono sulla scia dell’inazione dei governi in carica, che consentirono loro di sfruttare le garanzie liberali e le elezioni democratiche per impadronirsi del potere
Per la seconda volta in pochi mesi, gli uomini di Trump hanno accusato l’Europa di tendenze autoritarie. Venerdì scorso Marc Rubio si è scagliato contro le autorità tedesche, colpevoli di aver definito Alternative für Deutschland un partito di estrema destra, pericoloso per la democrazia: un caso di «tirannide sotto mentite spoglie». A Monaco il vicepresidente Vance aveva rivolto una accusa simile alla Romania, dove proprio ieri si è tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali. La Corte Costituzionale di Bucarest aveva annullato le elezioni dello scorso novembre, vinte dal leader di destra Georgescu, a fronte di prove su interferenze russe e violazioni della Costituzione.
Si potrebbe rispondere che le prediche americane andrebbero oggi rispedite al mittente, vista la svolta illiberale di Trump. Conviene invece cogliere l’occasione per riflettere su una domanda seria: una democrazia liberale può prendere provvedimenti contro chi si propone di minarne i fondamenti? I fascismi novecenteschi si affermarono sulla scia dell’inazione dei governi in carica, che consentirono loro di sfruttare le garanzie liberali e le elezioni democratiche per impadronirsi del potere. C’è chi teme possa succedere di nuovo in Germania. E proprio per evitare uno scenario simile, al romeno Georgescu è stato impedito di ricandidarsi alle elezioni di ieri.
Attenzione però. Le limitazioni dei diritti fondamentali rischiano di creare precedenti , che possono poi essere invocati da leader con vocazione autoritaria. Pensiamo all’Ungheria di Orbán. Nei primi Anni Novanta il personaggio era vicepresidente dell’Internazionale Liberale. A Budapest era stato parte della Commissione che aveva stabilito il divieto per gli esponenti del vecchio partito comunista di accedere alle cariche politiche. Dopo una rapida conversione al populismo nazionalista, durante il suo secondo mandato (2010-2014), Orbán iniziò a fare a pezzi la Costituzione per tenere a bada tutti gli oppositori, compresi quelli liberali, del «nuovo Stato» ungherese. Se George Simion (il nuovo candidato dell’estrema destra) dovesse conquistare la presidenza, anche la Romania potrebbe imboccare la via ungherese.
Scrivendo durante la Seconda guerra mondiale, il filosofo della società aperta Karl Popper mise in guardia contro il «paradosso della tolleranza» che caratterizza i regimi democratici. Per proteggere se stessa, la democrazia ha il diritto/dovere di difendersi, imponendo restrizioni a movimenti e organizzazioni che si propongono di sovvertirla. La fermezza di Popper è stata successivamente «sfumata» da altri grandi pensatori liberali. Per John Rawls, ad esempio, le restrizioni sono legittime solo nei confronti di gruppi effettivamente mobilitati a sopprimere i diritti e la democrazia. Una società liberale dovrebbe essere capace di intervenire prima, integrando gradualmente le persone intolleranti attraverso politiche inclusive. Anche Norberto Bobbio era di questa opinione: reprimere gli intolleranti è «eticamente povero» e rischia di essere politicamente inopportuno. «L’intollerante perseguitato ed escluso non diventerà mai un liberale». È chiaramente il caso di Georgescu e dei suoi seguaci, che dopo l’annullamento delle elezioni si sono ulteriormente radicalizzati.
Come seguire praticamente il richiamo alla prudenza di Rawls e Bobbio? Con una doppia strategia. Una società democratica funziona bene se i suoi cittadini sono tolleranti «consapevoli»: credono nelle istituzioni liberal-democratiche e hanno le competenze per farne uso. La crescente manipolazione delle informazioni, la cultura della post-verità, la declinante attitudine al pensiero critico stanno erodendo la capacità di resistenza di questo gruppo di cittadini. Ne sono chiari sintomi la sfiducia nella politica, il calo della partecipazione, la vulnerabilità rispetto a interferenze e ingerenze straniere (la Russia era intervenuta pesantemente per far vincere Georgescu in Romania). Gli sforzi per rafforzare e accrescere la tolleranza consapevole vanno fatti pensando soprattutto ai giovani, e dunque agendo su scuola e formazione.
La seconda strategia va indirizzata contro gli intolleranti «inconsapevoli»: i tanti elettori della destra radicale che votano più in base a paure di natura economica e sociale che a credenze di principio. L’elettorato di AfD (e più ancora quello di Alleanza per l’Unione della Romania, il partito di Simion) è composto dai ceti più colpiti dalle crisi dell’ultimo quindicennio. Nei loro confronti, le politiche inclusive di cui parla Rawls devono avere una robusta componente materiale. Ossia misure di protezione e investimento sociale capaci di sottrarre questi elettori alla spirale di impoverimento che li spinge verso le sirene populiste.
Nel programma di Ursula von der Leyen c’è l’obiettivo di creare un vero e proprio «scudo democratico» contro le minacce illiberali. In Romania, potrebbe essere già troppo tardi, soprattutto se George Simion, forte di un clamoroso successo al primo turno di ieri, dovesse poi vincere il ballottaggio del 18 maggio. Tratteniamo il respiro. E iniziamo subito a realizzare lo scudo di von der Leyen. Uno strumento che andrebbe a buon diritto considerato parte integrante della difesa comune europea.