EDITORIALE

di Angelo Panebianco

Fonte: Corriere della Sera

editoriale

La bocciatura, che però il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni nega essere tale, della nostra legge di Stabilità da parte della Commissione europea, è il segnale del cul de sac in cui ci troviamo,

l’indice di un circolo vizioso che da molto tempo caratterizza il rapporto fra Italia e Europa: non siamo ritenuti affidabili, credibili, il che ci rende deboli nelle negoziazioni, ci toglie la forza che sarebbe indispensabile per strappare condizioni a noi più favorevoli.
Gettare la croce sul governo in carica è, per molti versi, ingiusto (anche se, in democrazia, è inevitabile: con chi altri prendersela?). Il governo è bloccato o procede a stento perché subisce un quotidiano bombardamento come effetto delle lotte per il potere che scuotono la sua divisissima maggioranza parlamentare. A dimostrazione del fatto che le Grandi Coalizioni possono funzionare relativamente bene solo se i partiti che le compongono sono organizzazioni coese, saldamente controllate dai loro leader. L’opposto di ciò che accade in Italia.
Si aggiunga il vincolo che pesa su tutti i governi italiani: le nostre istituzioni premiano i poteri di veto, non il potere di decisione. Da qui la tradizionale politica degli annunci: «Faremo questo, faremo quello». Poiché, in realtà, si può fare poco, poiché c’è sempre qualcuno che può porre veti (si veda cosa è successo appena il governo ha cercato di mettere mano ai conti della Sanità), i governi, anziché fare, devono limitarsi a promettere che faranno. Privatizzazioni? Spending review con quel che segue in termini di razionalizzazione della spesa? Riduzione delle tasse? Non ci crediamo noi. Perché dovrebbero crederci gli altri?
O si consideri il caso di Matteo Renzi, l’astro nascente. Se non gli gettano la proporzionale fra i piedi forse vincerà le prossime elezioni. Magari riuscirà anche a stravincerle. E si troverà a seguire le orme di Berlusconi: grandi maggioranze, scarsi risultati. Il nostro sistema politico-istituzionale è costruito per premiare la conservazione, non l’innovazione. Come ha scritto Adriano Sofri (sul Foglio del 16 novembre): chi parla di «Costituzione più bella del mondo» ne ha mai lette almeno due?
Il che ci porta al nostro rapporto con l’Europa. Romano Prodi ha lanciato una idea (Il Messaggero , 2 novembre) molto discussa. L’Europa, e l’Italia più di altri, hanno bisogno di politiche pro crescita. Ma la Germania – osserva Prodi – è irremovibile. Occorre un cambiamento nei rapporti di forza. Occorre una alleanza strategica fra Francia, Italia e Spagna che negozi con la Germania una rimodulazione della politica europea. Prodi ha ragione. Sulla carta, non c’è altra strada. Ma gli ostacoli sono formidabili. Dovuti alle condizioni di Francia e Italia. In Francia, un presidente ormai debolissimo, ai minimi storici di popolarità, difficilmente potrebbe trovare l’energia per dichiarare ufficialmente chiusa la stagione delle finzioni e delle illusioni: l’illusione, soprattutto, di potere ricostituire un giorno quell’asse franco-tedesco che, per decenni, diede alla Francia il ruolo di co-gestore della politica europea. Occorrerebbe un presidente assai più forte di Hollande per un così marcato cambio di strategia. E ci sono poi le strutturali debolezze dell’Italia di cui si è detto.
La cattiva notizia è che abbiamo necessità di costruire nuove alleanze in Europa ma non ne abbiamo la forza. La buona notizia, se così si può dire, è che, per lo meno, la storia è sempre imprevedibile, e magari ci sbagliamo.

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