donald-trump

Ha osato fare ciò che nessuno dei suoi predecessori aveva fatto: un bombardamento diretto e su vasta scala sul suolo iraniano

Lo strappo di Donald Trump spiazza la sua America, crea sconcerto nel mondo intero ma anche nella galassia MAGA (Make America Great Again). Questo era un presidente percepito dai suoi elettori come un isolazionista – in senso positivo –: un leader che avrebbe evitato di impantanare il suo paese in conflitti internazionali, mettendo a rischio le vite dei propri soldati, sprecando risorse economiche in avventure da gendarme globale. Invece ha osato fare ciò che nessuno dei suoi predecessori aveva fatto: un bombardamento diretto e su vasta scala sul suolo iraniano.
Ora la Casa Bianca e il Pentagono circoscrivono la portata: solo la distruzione mirata e precisa di siti nucleari. Vogliono che l’avversario bersagliato accetti di comportarsi di conseguenza.
In cerca di precedenti storici se ne possono ricordare un paio. 45 anni fa, nell’aprile 1980 il presidente Jimmy Carter ordinò un raid militare sul territorio iraniano per liberare 52 americani tenuti in ostaggio nell’ambasciata Usa di Teheran: finì in un disastro umiliante, diede un colpo fatale alla credibilità di Carter che perse le elezioni; la liberazione degli ostaggi dopo 444 giorni di prigionia avvenne dopo la vittoria del repubblicano Ronald Reagan.
L’opinione pubblica americana rimase traumatizzata da quel disastroso raid – una tragica collisione tra elicotteri Usa nel deserto – e ogni intervento militare in Iran sembrò «off limits». In quel caso comunque la ferita degli ostaggi aveva dato una legittimità iniziale all’operazione, anche se l’esecuzione fu incredibilmente maldestra.
Un precedente recente risale alla prima Amministrazione Trump. Il 3 gennaio 2020 il generale Qasem Soleimani, comandante capo delle forze Quds (una delle componenti dei Guardiani della Rivoluzione iraniana), fu ucciso da un drone Usa su ordine di Trump. Si trovava però in trasferta in Iraq. La descrizione di «operazione chirurgica» si attagliava a quella esecuzione, rispetto ai bombardamenti dei siti nucleari che hanno avuto ben altra estensione.
In quanto a guerre, in Medio Oriente i precedenti sono George Bush padre in Iraq nel 1990-91, operazione Desert Storm. L’invasione dell’Afghanistan (2001–2021). Quella dell’Iraq all’inizio del 2003. Ambedue sotto George Bush figlio. Infine la guerra di Barack Obama in Libia che depose Gheddafi nel 2011. La prima guerra del Golfo ebbe una legittimazione internazionale, fu condotta da una coalizione che includeva nazioni arabe, reagiva all’annessione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Il secondo intervento militare in Iraq e a maggior ragione l’Afghanistan ebbero inizialmente la giustificazione dell’11 settembre 2001, anche se le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein si rivelarono una montatura americana. In Libia, Obama riuscì a farsi avallare l’intervento dall’Onu.
Trump ha condannato le guerre dei suoi predecessori. La sua scalata al partito repubblicano nel 2015, si accompagnò ad un assalto contro il pensiero neoconservatore che aveva ispirato la politica «imperiale» in Medio Oriente, l’illusione di rovesciare regimi, esportare democrazia, imporre l’egemonia Usa. Trump si costruì la reputazione di isolazionista denunciando chi aveva preteso di svolgere il ruolo di gendarme mondiale.
Tre figure della galassia MAGA – il vicepresidente JD Vance, il segretario alla Difesa Pete Hegseth, la capa della Cia Tulsi Gabbard – hanno in comune l’essere stati al fronte in Iraq. Appartengono a una generazione che si è sentita sacrificata, mandata allo sbaraglio a combattere guerre inutili, da una élite globalista che perseguiva obiettivi nefasti per l’interesse del popolo americano. Nell’elettorato MAGA c’era la convinzione che Trump li avrebbe protetti dal rischio di ricadere in quell’incubo.
Che cosa lo ha convinto a fare questo strappo? Il ruolo di Benjamin Netanyahu deve essere stato decisivo. Avendo eliminato o decapitato o fortemente indebolito gli alleati dell’Iran – Hamas, Hezbollah, Assad – le forze armate israeliane hanno ridotto i rischi che un colpo all’Iran si traduca in una immediata deflagrazione di conflitti in tutto il Medio Oriente. Trump ha visto balenare un’opportunità: risolvere la minaccia iraniana – una spina nel fianco che ha perseguitato tutti i presidenti americani da Carter in poi, 46 anni senza che nessuno trovasse una soluzione – incassando un successo storico senza correre rischi molto elevati. Nel suo intervento televisivo di sabato sera Trump ha sottolineato la micidiale efficacia delle armi americane: e questo è un messaggio al mondo intero, comprese Russia e Cina.
Per ora lui sembra convinto di poter «vendere» agli americani il bombardamento dei siti nucleari come un blitz una tantum, un colpo formidabile che blocca l’Iran, rende più sicuri gli alleati dell’America, ripristina la massima credibilità del deterrente Usa, ma gli lascia le mani libere e non lo costringe a entrare nella logica dell’escalation. È una scommessa azzardata, come molte mosse di questo presidente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

A.N.D.E.
Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.