Bandiera america usa

L’Europa ha davanti a sé una grande opportunità. Investire nella ricerca e attrarre nelle proprie università e nei propri laboratori tanti che stanno pensando di lasciare gli Stati Uniti. Non c’è molto tempo

Dalla fine della Prima guerra mondiale,gli Stati Uniti d’America hanno sostituito la Gran Bretagna quale potenza egemone nell’Occidente. Egemonia durata oltre un secolo, che si reggeva principalmente su tre pilastri: il primato scientifico, dimostrato dal numero di premi Nobel nelle discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) attribuiti a ricercatori che lavorano negli Usa; la supremazia militare, conseguenza diretta del primato scientifico; un largo consenso politico all’interno della società americana, che ha vacillato solo negli Anni ’60 quando in Vietnam morirono 58.000 soldati statunitensi.
Dopo il 1934, quando Hitler assunse il potere assoluto in Germania, Franklin Delano Roosevelt, eletto presidente nello stesso anno, capì che, fra Stati Uniti e Germania, avrebbe vinto chi per primo fosse riuscito a costruire la bomba all’idrogeno. Come racconta un bel libro di Sam Kean (Brigata dei bastardi, Adelphi, 2022) nel 1942 Roosevelt chiese a Robert Oppenheimer, un fisico americano che si era formato in Europa, di accelerare il Progetto Manhattan i cui risultati costituirono la svolta che consentirà agli Alleati di vincere la Guerra.
Alla fine degli Anni ’50, la frontiera scientifica si spostò nello spazio e fu l’Unione Sovietica a vincere la prima gara, mandando un astronauta, Jurij Gagarin, fuori dall’atmosfera.  Il presidente Eisenhower rispose promettendo che il primo uomo a mettere piedi sulla Luna sarebbe stato americano, e così accadde nel 1969. Molte delle innovazioni che hanno consentito la miniaturizzazione degli apparati elettronici devono la loro origine al primo viaggio nello Spazio.
Oggi la frontiera è l’intelligenza artificiale e il concorrente degli Stati Uniti è la Cina. Per mantenere l’egemonia, gli Usa dovranno riuscire a non farsi superare dai cinesi. Ma la ricerca sull’intelligenza artificiale è fondamentalmente diversa rispetto agli sviluppi tecnologici precedenti: i risultati sono ottenuti da imprese private, lo Stato c’entra poco. Palantir è un’azienda del Colorado specializzata nell’analisi di grandi piattaforme di dati, soprattutto per domande relative all’intelligence militare e all’antiterrorismo. L’hanno fondata Alexander Karp e Peter Thiel, imprenditore che deve la sua fortuna a Pay Pal. Karp ha recentemente scritto un libro (Technological Republic, pubblicato in Italia da Silvio Berlusconi editore). La sua tesi è che l’intelligenza artificiale sia sostanzialmente un’attività privata. Noi ci impegniamo a vincere la gara con la Cina, scrive Karp, ma lo Stato non deve intromettersi. Se comincia a imporci vincoli, ad esempio sulla privacy dei dati, quella gara non possiamo vincerla. L’ingresso di Elon Musk nell’Amministrazione Trump, a capo del dipartimento sull’Efficienza governativa, è coerente con questa visione.
Nel settore dell’intelligenza artificiale, l’Europa ha scelto una strada opposta rispetto alle richieste degli imprenditori della Silicon Valley. Un anno fa è entrato in vigore il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, uno dei primi tentativi al mondo di limitare il rischio che l’Ai causi danni o limiti i diritti dei cittadini. La legge europea classifica gli strumenti dell’Ai in tre gruppi, in funzione dei rischi che presentano. Un esempio: l’uso di immagini facciali, scaricate da internet o da telecamere a circuito chiuso, per il riconoscimento delle persone è limitato a motivi specifici quali la prevenzione di atti di terrorismo o la ricerca di una persona scomparsa. Deve inoltre essere autorizzato da un giudice o da un’autorità indipendente. Questo percorso vale anche per l’uso dei dati raccolti con l’ Ai per le ammissioni in scuole o università e qualsiasi assunzione.
L’obiettivo è sicuramente condivisibile e la legge europea è una buona legge. È però necessario, come nel caso di alcune norme sulla privacy, che sia usata con buon senso per evitare che il risultato sia: tutto è vietato o tutto è ammesso, in blocco. In caso contrario, il rischio è che queste norme vengano poi cancellate perché paralizzanti (come sta accadendo ad alcune norme sulla transizione verde). Lo Stato non è un ostacolo: il passaggio critico sta nell’uso intelligente e lungimirante delle norme.
C’è una seconda lezione da ciò che sta accadendo in America e riguarda la ricerca scientifica. È drammatico, e paradossale, che proprio nel Paese che ha mantenuto una posizione egemone grazie al progresso scientifico vi sia oggi un governo che limita la libertà di ricerca, ad esempio in medicina. Decideranno i cittadini americani se e come fermare Trump. L’Europa, invece, ha davanti a sé una grande opportunità. Investire nella ricerca e attrarre nelle proprie università e nei propri laboratori tanti che stanno pensando di lasciare gli Stati Uniti. Non c’e’ molto tempo. Per non abbandonare progetti sui quali spesso hanno investito anni, molti ricercatori sono già davanti a un bivio. Spostarsi in Europa o accettare le offerte pressanti che la Cina propone loro. Deve farlo l’Europa, deve farlo l’Italia.

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A.N.D.E.
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