12 Dicembre 2024
Ambiente2

Il primo obiettivo è triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza degli impianti

Le luci dell’accordo raggiunto alla Cop28 hanno uno scopo chiaro: illuminare il cammino per liberarci dai combustibili fossili nel tempo. Quando accadrà, non è noto: la sfida fissata è arrivare al 2050 all’azzeramento delle emissioni che alterano il clima, ma non essendo quelli di Dubai accordi vincolanti non c’è certezza su come i singoli paesi metteranno a terra le azioni e le politiche necessarie per riuscirci. Il cammino verso il futuro disegnato a Dubai è lungo: primo step fra due anni, quando nel 2025 conosceremo nel dettaglio gli aggiornamenti dei Piani nazionali climatici (Ndc) dei vari Paesi, ma nel frattempo si può ipotizzare cosa dovrà accadere nel mondo per raggiungere la transizione dai combustibili fossili richiesta alla Cop.
Per poter “produrre e consumare” meno petrolio, gas e carbone va centrato entro sette anni un obiettivo: triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficientamento energetico. Secondo Francesco La Camera, direttore di Irena, agenzia internazionale per le energie rinnovabili, dobbiamo riuscire a passare da un tasso annuale di 300 Gw a “un ambizioso 1000 GW” e per farlo dobbiamo concentrarci su tre priorità: «Infrastrutture fisiche, politica e regolamentazione, capacità istituzionale e umana».
Ad oggi per capacità installata di energia rinnovabile a livello mondiale guidano le classifiche la Cina, che è già oltre i 1000 GW, Usa, Brasile, India e Germania. Ma solare ed eolico si stanno sviluppando sempre di più anche in economie meno forti, dall’Uruguay alla Lituania, dimostrando come sia possibile intraprendere il taglio delle emissioni del 43% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2019) che ci chiede con urgenza la Scienza.
Ipoteticamente, al netto delle condizioni dei vari Paesi, triplicare le rinnovabili porterà al taglio delle emissioni richiesto ma solo a patto che parallelamente non crescano quelle legate al fossile.
Un esempio chiaro è la Cina, che è oggi sia leader nella produzione e lo sviluppo ad esempio di solare ed eolico, oltre che primo investitore, sia uno dei più grandi paesi emettitori di carbonio al mondo, dato che buona parte dell’economia cinese si basa ancora su centrali a carbone e uso del petrolio. Lo stesso vale per l’India: se non cambieranno queste doppie vesti, l’obiettivo di azzeramento resterà lontano.

Fino a quando ci baseremo sui combustibili fossili?
Intorno al 2030, secondo la Iea, agenzia internazionale dell’energia, è previsto il picco delle fonti fossili, poi ci dovrà essere una discesa possibile solo se i grandi paesi emettitori, dimostreranno di poter contemporaneamente aumentare le rinnovabili e ridurre la dipendenza da petrolio, gas e carbone. Su questo non è d’accordo l’Opec, l’organizzazione dei produttori di petrolio, che invece ipotizza nei suoi scenari come la domanda globale di petrolio continuerà a crescere almeno fino al 2045 e nei prossimi decenni sarà trainata dai Paesi non Ocse mentre diminuirà altrove. Capire quando e se inizierà davvero la fine dell’era delle fossili è estremamente complesso: ora però la nuova linea dettata dalla Cop28 di Dubai indica la necessità di avviare una “transizione”, da cavalcare anche utilizzando le tecnologie che ci permettano di non emettere.

Quali tecnologie abbiamo a disposizione?
Oltre a solare, eolico, idroelettrico, le altre aperture fatte dall’accordo di Dubai sono su nucleare, “combustibili di transizione” e cattura e stoccaggio della C02.
Sul nucleare 22 paesi, tra cui Francia e Regno Unito, si sono accordati per triplicarlo entro il 2050. Le centrali esistono in tutto in una trentina di nazioni, per un totale di oltre 420 reattori, ma è chiaro che questo sistema a basse emissioni, utile per ottenere elettricità smarcandosi dal fossile, non è per tutti.
I tempi per le centrali anche di nuova generazione, come i mini reattori che piacciono all’Italia, non sono infatti mai inferiori ai 10 anni: significherebbe averle pronte intorno al 2040, anno in cui la Ue punta già a raggiungere il taglio del 90% delle emissioni. O si hanno già infrastrutture e mezzi, come la Cina che mira a 150 nuovi reattori in 15 anni, o è una partita rischiosa per centrare il net zero.
Se per abbattere le emissioni l’Europa si è concentrata per esempio sul divieto di motori endotermici al 2035, altrove come in Arabia Saudita o Emirati puntano sulle tecnologie CCS, cattura e stoccaggio CO2, in modo da poter continuare a produrre petrolio . Anche queste tecnologie sono state citate nell’accordo, eppure sono bocciate dalla maggior parte degli scienziati che le giudicano “inefficaci” sul breve termine.
Infine nel testo di Dubai si parla dell’uso di “combustibili di transizione” in modo molto vago, senza comprendere per esempio se includano, come vorrebbe l’Italia, il gas naturale liquefatto o i biocarburanti.
Ovviamente, per immaginare davvero un 2050 a zero emissioni, c’è poi la grande speranza per un rapido sviluppo della fusione nucleare, anche se difficilmente vedrà la luce prima di 15 anni, ma, come sappiamo, il tempo degli sforzi utili a rimanere entro i +1,5 gradi è ormai scaduto.

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