13 Ottobre 2024

L’ex ministro è un timido dalla retorica violenta. In Austria primi gli ultranazionalisti, ma Kickl non ha gli alleati per governare 

«Buon giorno, sono Herbert Kickl, sono alto 172 centimetri e peso 63 chili. Sono in missione per il progetto Cancelliere del popolo». Si presenta spesso così agli elettori sulle piazze il vincitore delle elezioni austriache. Sembra quasi che egli sia stupito da se stesso, lui che scriveva i discorsi di Jörg Haider o faceva il manager delle campagne di Heinz-Christian Strache e ora è al comando di un partito, che ha portato in alto dove non era mai stato.
Kickl è nato nel 1968 da una famiglia operaia in Carinzia, un mondo rurale e lontano dalla cosmopolita Vienna. A cambiargli la vita fu l’incontro con Haider, allora leader regionale della FPÖ nella regione, in visita alla sua scuola. Ne rimase folgorato, al punto che nel 1995 lasciò gli studi di filosofia e storia per andare a lavorare nel partito, ormai trasformato dal suo idolo in una forza di estrema destra ultranazionalista e xenofoba. Avrebbe servito docilmente Haider fino al 2005, quando rifiutò di seguirlo in una nuova formazione, meno estremista della FPÖ.
Della sua vita privata si sa poco. È sposato e padre di un figlio. Scala montagne, corre maratone, pratica sport estremi. Ma è un solitario. Come raccontano i suoi biografi, i giornalisti Robert Treichler e Gernot Bauer, quando nel 2018 ha sposato la sua compagna di vita, alla cerimonia non venne invitato nessuno, non c’era neppure un testimone.
Non è un carismatico, Kickl. Anzi per essere un politico, è sorprendentemente timido. Ma la sua retorica è violenta. I suoi slogan contundenti e incendiari, spesso presi direttamente dal vocabolario nazista. Definisce il Presidente della Repubblica van der Bellen «una mummia senile». Bolla come Volksverräter, traditori del popolo, i suoi avversari politici. Dice di volere in Austria «Heimatliebe statt Marokkanerdiebe», quelli che amano la patria invece dei «ladri marocchini». Sono rimasti tristemente celebri gli slogan di cui infarciva i discorsi e le campagne di Haider: di Ariel Muzicant, presidente della comunità ebraica viennese, chiese «come può qualcuno che si chiama Ariel (come un detersivo, ndr) avere tanta sporcizia sulle mani?». Non lo ha mai rinnegato.
Herbert Kickl è stato ministro degli Interni dell’Austria tra il 2017 e il 2019, nella coalizione tra i popolari del cancelliere Sebastian Kurz e la FPÖ allora guidata da Strache. Si distinse soprattutto per i suoi attacchi alla Convenzione europea sui diritti umani, l’ordinanza ai commissariati di polizia di rifiutare ogni collaborazione ai media considerati ostili, la decisione di ribattezzare i centri di accoglienza per migranti «centri di espulsione» e dulcis in fundo la perquisizione della sede dei servizi segreti, sospettati di spiare il suo partito. Si dimise sull’onda dello «scandalo Ibiza», che travolse Strache e che però proiettò Kickl al vertice della FPÖ.
Maniaco del controllo della narrazione, con un talento per i social, Kickl ha usato la pandemia, l’immigrazione e la guerra in Ucraina per riportare la FPÖ al centro del paesaggio austriaco, dominando l’agenda politica. «La sua tecnica», dice il politologo Thomas Hofer, «è di gettare ancore emotive agli elettori intercettandone ansie e preoccupazioni su temi come l’immigrazione, la pace, l’inflazione, le battaglie di genere, i costi dell’energia, le misure climatiche». Ha vinto. Ma come sembra accadere spesso nella sua vita, Kickl, e con lui il suo partito, rischia di rimanere da solo.

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