Conclave fumata-bianca

Viaggio nella storia dei papabili che hanno mancato l’elezione al soglio di Pietro: da Guglielmo d’Estouteville nel 1740 fino al caso di Scola, favorito dopo la morte di Benedetto XVI

Il famoso detto popolare romano “chi entra da papa nel conclave, ne esce cardinale” segnala con arguzia che i giochi del conclave sono imprevedibili. Quello del 1978 sembrava essere promesso a uno dei due cardinali italiani più quotati, Giuseppe Siri e Giovanni Benelli, ma neutralizzandosi a vicenda fu eletto a sorpresa il patriarca di Venezia Albino Luciani, con il nome di Giovanni Paolo I.
Un caso veramente insolito avvenne la sera del secondo giorno di conclave nel 2013. Quel mercoledì 13 marzo, alle 20,24, nello stesso momento in cui Jorge Mario Bergoglio apparve sulla loggia della Basilica di San Pietro come in una mail ai giornalisti accreditati, «dell’elezione del cardinale Angelo Scola a successore di Pietro». Si trattò di un clamoroso errore di «copia-incolla» che il segretario generale della Cei si affrettò a rettificare, anche se la gaffe rimarrà a lungo negli annali dei conclavi di questi ultimi decenni.
Anche in passato cardinali che avevano fin dall’inizio un altissimo consenso non giunsero al traguardo per i motivi i più diversi. Al conclave che si aprì dopo la morte diCalisto III (6 agosto 1458) sembrava che mancasse soltanto un voto perché il cardinale francese Guglielmo d’Estouteville raggiungesse la maggioranza dei due terzi. Eppure, la mattina del 19 agosto, allo spoglio delle schede ottenne soltanto sei voti, mentre nove andarono a Enea Silvio Piccolomini, che prese il nome di Pio II.
Anche il cardinale inglese Reginald Pole era entrato da favorito nel conclave apertosi per la morte di Paolo III Farnese (10 novembre 1549): lo dicevano anche le scommesse dei romani, che puntavano tutte su di lui. Al primo scrutinio (il 5 dicembre) ottenne infatti solo due voti in meno della maggioranza dei due terzi. L’ambasciatore francese Claude d’Urfé si precipitò però subito alla porta del conclave e convinse i cardinali ad attendere i loro colleghi francesi assenti. Il consenso a Pole non riuscì allora più a salire e il 7 febbraio, al sessantunesimo scrutinio, l’alleanza fino allora impensabile tra la fazione francese, quella imperiale e l’appoggio dei Farnese elesse all’unanimità Giovanni Maria Ciocchi del Monte, che prese il nome di Giulio III.
Alla morte di Paolo V Borghese (28 febbraio 1621) il Cardinal nipote Scipione Borghese – si deve a lui la costruzione di Villa Borghese – sostenne senza sosta il suo favorito, il cardinale Pietro Campori, il quale, già prima dell’apertura del conclave poteva contare su un forte consenso. Quando però, alla prima riunione (8 febbraio) si tentò di farlo eleggere per acclamazione molti cardinali favorevoli disertarono. Campori dovette ritirare la sua candidatura e quella stessa sera Alessandro Ludovisi fu eletto per acclamazione papa Gregorio XV.
Anche al conclave successivo alla morte di Innocenzo IX (30 novembre 1591) si volle far eleggere subito per «adorazione» il cardinale Giulio Antonio Santori, papabile in tutti i conclavi di fine Cinquecento, come ricorda Maria Antonietta Visceglia. Ma anche questa volta l’eccessiva tempestività si rivelò dannosa. Allo spoglio, di voti gliene mancavano soltanto due, eppure ciò non impedì al conclave di eleggere Ippolito Aldobrandini, che prese il nome di Clemente VIII.
La tempestività non è mai stata buona consigliera. Se ne accorse il cardinale Alessandro Farnese, partito con un evidente vantaggio fin dall’inizio del conclave del 1585 – Gregorio XIII Boncompagni era deceduto il 10 aprile – grazie alla neutralità di Filippo II. Quando però si apprese che il Farnese aveva fatto circolare la falsa voce della sua elezione, il conclave due giorni dopo elesse il francescano Felice Peretti, che prese il nome di Sisto V.
Il conclave del 1740, apertosi con la morte di Clemente XII (6 febbraio), durò sei mesi. Verso la fine di giugno il consenso in favore del cardinale napoletano Pompeo Aldrovandi apparve tanto sicuro da far convocare il muratore per aprire il conclave e preparare le vesti liturgiche destinate al nuovo papa. In effetti, allo scrutinio del 3 luglio gli mancarono soltanto tre voti. Anche dopo trentasei giorni di votazioni poté contare su 30-31 elettori favorevoli, sempre troppo pochi: “Aldrovandi siede sull’orlo del pontificato e non vi poté salire”, si scrisse allora. Il 16 agosto ritirò la sua candidatura e il giorno dopo Prospero Lambertini fu eletto papa Benedetto XIV.
L’ingerenza delle grandi potenze si manifestò solennemente ancora nel conclave del 1903, apertosi alla morte di Leone XIII. Il candidato più in vista era un nobile siciliano, il Segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro: al primo scrutinio (1° agosto) ottenne infatti 24 voti e 29 al secondo. Il giorno dopo, il cardinale di Cracovia, Jan Maurycy Puzyna, lesse però il testo dell’“esclusiva” con la quale l’imperatore d’Austria, in virtù di un antico privilegio, pronunciava il veto contro Rampolla, che da allora non riuscì a ottenere più nessun nuovo voto. Il 4 agosto, con 50 preferenze, fu eletto papa Pio X il cardinale e patriarca di Venezia Giuseppe Sarto.
“Chi entra da papa nel conclave, ne esce cardinale”. Lo hanno dimostrato i recenti conclavi del 1978 e del 2013. Ma anche in tempi più antichi, dopo avere ottenuto quasi tutti i voti necessari o essere rimasti a lungo i favoriti, non sono mancati cardinali che hanno dovuto cedere il passo per nuove alleanze interne, forti ingerenze esterne o un’incauta tempestività.

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