
Prima di moltiplicare condizionatori su tetti e balconi dovremmo considerare una soluzione più semplice e naturale: gli alberi. Un’infrastruttura antica che oggi possiamo progettare con maggiore consapevolezza
«Paragonerò te a un giorno d’estate?» Meglio di no, Shakespeare. Ciò che un tempo evocava immagini di tepore bucolico oggi fa pensare a giornate opprimenti e soffocanti. L’estate del 2025 ha riportato in prima pagina titoli ormai familiari: ondate di calore eccezionali in tutta Europa, con temperature record in molti Paesi.
Come possiamo raffrescare le nostre città? Per molti la risposta istintiva è la climatizzazione. Ma prima di moltiplicare condizionatori su tetti e balconi dovremmo prendere in considerazione una soluzione più semplice e naturale: gli alberi.
Di fronte all’aumento delle temperature c’è chi sostiene che il condizionamento non debba più esser considerato un lusso ma una necessità. D’altronde, quando si superano i 23 gradi, il sonno, la salute e la produttività ne risentono. Inoltre, le disuguaglianze possono essere letali: tra il 2000 e il 2019 in Europa si sono registrati in media 83.000 decessi all’anno a causa del caldo, più di quattro volte quelli del Nord America, dove l’aria condizionata è molto più diffusa. Eppure, questa tecnologia, da molti considerata salvifica, non è priva di inconvenienti. Nel giugno del 2025 la crescente domanda di climatizzazione ha fatto aumentare i consumi elettrici europei del 7,5 per cento rispetto all’anno precedente. Il primo luglio, a Firenze e Bergamo, il sovraccarico della rete ha provocato blackout che hanno paralizzato interi quartieri: ascensori fermi, negozi chiusi, sistemi elettronici fuori uso.
C’è poi un altro problema, di ancor più difficile risoluzione. L’aria condizionata raffredda gli interni ma riscalda gli esterni. Il calore espulso dai sistemi di climatizzazione contribuisce alla cosiddetta isola di calore urbana. Chi può permettersi un ambiente fresco lo ottiene a discapito di chi non ne ha la possibilità; le disuguaglianze si amplificano anche sul piano termico.
Ecco perché dobbiamo riscoprire un alleato silenzioso che abbiamo sempre avuto accanto: la natura. Come mostra la Biennale Architettura di Venezia, «Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva.» (aperta fino al 25 novembre), gli alberi non si limitano a fare ombra. Con l’evapotraspirazione sono in grado di abbassare le temperature urbane. È un processo che oggi possiamo quantificare con grande precisione, grazie all’intelligenza artificiale.
Il nostro team del Senseable City Lab, insieme alla Dubai Future Foundation, ha utilizzato strumenti di IA per analizzare scansioni termiche di alberi in contesti urbani molto diversi tra loro: Los Angeles, Dubai, Amsterdam e Boston. In questo modo abbiamo iniziato a mappare l’impatto del verde sul microclima.<
I risultati sono sorprendenti. Nelle ore più calde della giornata la temperatura sotto una chioma può essere fino a 15 gradi più bassa rispetto alle superfici circostanti. Non tutte le piante però hanno lo stesso effetto. Arbusti e aiuole erbose offrono un raffrescamento minimo, mentre gli alberi ad alto fusto con chiome dense risultano più efficaci. Anche il genere botanico conta. A Dubai, i neem, resistenti alla siccità, si sono rivelati più performanti rispetto agli alberi importati. A Los Angeles, le iconiche palme, slanciate ma spelacchiate, si sono dimostrate quasi inefficaci dal punto di vista climatico. Sono stelle del boulevard, ma certo non eroi del clima.
La collocazione del verde è altrettanto fondamentale. Gli alberi piantati vicino agli edifici, lungo strade strette per esempio, raffrescano più di quelli isolati in mezzo a parchi o spianate. Nel centro di Amsterdam filari di piante ad alto fusto possono ridurre la temperatura dell’aria di oltre cinque gradi. Questi dati ci permettono di iniziare a costruire un vero e proprio catalogo del raffreddamento urbano: un possibile strumento di pianificazione per aiutarci a decidere quali alberi piantare e dove, a seconda del contesto e dell’effetto desiderato. Potremmo chiamarla «riforestazione urbana di precisione».
Naturalmente anche gli alberi hanno le loro esigenze: acqua, spazio sotterraneo (che spesso entra in conflitto con i sottoservizi urbani), e soprattutto tempo e pazienza. Nelle città storiche ogni nuova piantumazione deve inoltre confrontarsi con i vincoli paesaggistici e con la memoria collettiva: lo dimostra bene il recente dibattito attorno al rifacimento dei giardini di Notre-Dame a Parigi, proprio in chiave climatica. Tuttavia, se vogliamo raffrescare le nostre città senza gravare ulteriormente sulle reti elettriche, dobbiamo cominciare a considerare il verde urbano non come abbellimento ma come vera e propria infrastruttura. Un’infrastruttura antica che oggi, grazie all’intelligenza artificiale e alle nuove tecnologie, possiamo progettare con maggiore consapevolezza.
In un mondo che si riscalda, la soluzione più efficace per il futuro delle nostre città potrebbe affondare le proprie radici nel passato.
L'autore è Architetto, ingegnere e urbanista, Carlo Ratti è professore presso il MIT di Boston e il Politecnico di Milano. Co-fondatore dello studio internazionale CRA – Carlo Ratti Associati, nel 2025 è Direttore della Biennale Architettura di Venezia.
Venerdì 5 settembre, a Venezia, insieme al Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, alle ore 17:00 Carlo Ratti presenterà AquaPraça, una piazza galleggiante che sarà protagonista della conferenza COP30 di novembre a Belém, Brasile.