Sia il 3,5 che il 5% del Pil da destinare ai costi per le forze militari sono valori mai toccati negli ultimi decenni
Oggi il vertice Nato dell’Aia entra nella sua giornata cruciale. Gli elementi principali dell’accordo sono noti da tempo. L’obiettivo sarà di portare, probabilmente entro il 2035, il rapporto tra la spesa per la difesa e Pil al 3,5% e al 5% incluse spese collegate alla difesa, per esempio cyber security e spese per adattare strade e ponti ai veicoli militari. Vedremo quale sarà la definizione specifica di queste ultime.
Ma, sia come sia, si tratterebbe probabilmente di spese aggiuntive, che non sarebbero state intraprese senza questo accordo e che, quindi, richiederebbero fonti aggiuntive di finanziamento.
Quanto difficile sarà raggiungere questi obiettivi per l’Italia? Rispondiamo a questa domanda sia in termini di livello di spesa per la difesa che dovrà essere raggiunto, sia della sua variazione rispetto al valore attuale.
Riguardo al livello, la cosa è semplice. Il 3,5%, e a maggior ragione il 5%, sono valori storicamente molto alti per l’Italia. L’ultima volta che il rapporto tra la nostra spesa per la difesa (nella definizione di spesa utilizzata dalla Nato) e il Pil era al 3,5% (più precisamente al 3,6%) il Giro d’Italia fu vinto dallo svizzero Clerici. Non credo che molti se lo ricordino, ma il fatto che l’anno prima avesse vinto Coppi vi dice che stiamo andando proprio indietro nel tempo. Era il 1954, il presidente del Consiglio era Mario Scelba ed era finita da poco la guerra di Corea. Il che ci fa capire che si tratta di un obiettivo piuttosto ambizioso e inusuale per la nostra penisola. Per non parlare del 5%: per quello occorre risalire alla Seconda guerra mondiale.
Ora, la difesa del nostro Paese è prioritaria e aumentare la spesa rispetto al passato è necessario visto che non possiamo più contare quanto prima sulla generosità dello zio Sam. Mi verrebbe però da dire che, se non ci sono più gli Stati Uniti di una volta, non c’è neppure l’Urss da affrontare: non si offenda Putin, ma la Russia di oggi con una popolazione che è il 15% di quella Nato impallidisce rispetto alla repubblica dei soviet, la cui popolazione era più della metà di quella della Nato dell’epoca. Ma Rutte dice che la Russia potrebbe attaccare un Paese Nato tra 3-7 anni (e Rutte è un uomo d’onore!). Sia come sia, ci toccherà arrivare almeno al 3,5%.
Ma come arrivarci? L’anno scorso eravamo all’1,5% e con gli stanziamenti di bilancio, secondo l’audizione parlamentare del ministro Crosetto del 7 novembre 2024, la spesa per la difesa sarebbe salita all’1,6% nel 2025-27. Ora, sembra invece che, dopo un’attenta valutazione (uso un eufemismo) della classificazione delle nostre spese, quest’anno saremmo già al 2%. Vedremo se la Nato ci darà per buona questa riclassificazione. Ma anche partendo dal 2% arrivare al 3,5%-5% non è cosa da poco. Certo, abbiamo dieci anni. Ma sono dieci anni in cui le spese per pensioni e sanità dovrebbero crescere di quasi un altro punto e mezzo di Pil, secondo la Ragioneria Generale dello Stato (nonostante questa usi ipotesi macroeconomiche e demografiche piuttosto ottimistiche). Per non parlare della pia illusione di una riduzione del carico fiscale, promessa da quasi tutti i partiti politici.
Ma almeno saremo più sicuri? Dipende da come spendiamo quei soldi.A parte lo spreco derivante dalla frammentazione della spesa e della produzione per la difesa tra i 27 Paesi dell’Unione europea, noi italiani abbiamo una tradizionale composizione della spesa per la difesa del tutto peculiare: spendiamo tanto per gli stipendi e poco per il resto. Nel 2024 quasi il 60% della nostra spesa per la difesa andava in stipendi e pensioni del personale militare, il livello più alto tra tutti i Paesi Nato (per completezza di confronto, la spesa per il personale negli Stati Uniti è del 25%). Per gli armamenti eravamo invece al quint’ultimo posto. Da questo punto di vista sarà cruciale, anche più dell’obiettivo di spesa complessiva posto dalla Nato, vedere cosa sarà previsto dall’accordo in termini di composizione della spesa. Il vincolo posto dall’accordo Nato del 2014 (una spesa minima per armamenti del 20%) sembra del tutto inadeguato rispetto a quanto richiesto da una difesa moderna, sempre meno basata sul numero dei soldati e sempre più sulla qualità degli armamenti.