pedro sanchez

Non tiene il progetto meloniano di un asse popolari-conservatori per rovesciare le alleanze nell’Unione europea. La Spagna non è mai stata così divisa dai tempi della guerra civile

Pedro Sánchez è a un passo dal formare il suo nuovo governo. Chiuso l’accordo con i catalani sull’amnistia, la prossima settimana il leader socialista avrà l’investitura. E la Spagna infliggerà un altro colpo — dopo le elezioni polacche — al progetto meloniano di un asse tra popolari e conservatori, per rovesciare le alleanze nell’Unione europea.
Intendiamoci: il prezzo che Sánchez pagherà per fare il governo sarà molto alto. La Spagna non è mai stata così divisa dai tempi della guerra civile. Cortei della destra protestano sotto le sedi socialiste. Il leader di Vox Santiago Abascal accusa il Psoe di aver fatto un colpo di Stato. «Un patto infame» ha twittato uno dei fondatori di Vox, Alejo Vidal-Quadras; poi è andato a messa nella cattedrale di Madrid; all’uscita un motociclista nascosto dal casco, forse un sicario, gli ha sparato in faccia ed è fuggito. Vidal-Quadras è fuori pericolo, i media non collegano il suo ferimento alla politica; ma certo la tensione è al culmine.
A ogni alleato Sánchez ha dovuto concedere qualcosa. Ai catalani, l’amnistia per i ribelli che avevano tentato la secessione e l’apertura a un referendum consultivo. Alla coalizione radicale Sumar, la riduzione dell’orario di lavoro. I baschi di sinistra di Bildu chiedono di avvicinare a casa i detenuti dell’Eta, oggi prigionieri in carceri distanti anche mille chilometri; i baschi di destra si accontentano di uno sconto sulle tasse sui profitti energetici (l’amministratore delegato del colosso petrolifero Repsol, Josu Jon Imaz, è l’ex presidente del partito nazionalista basco).
Ovviamente l’intesa più contestata è quella con gli indipendentisti catalani di Carles Puigdemont, che aveva annunciato: o referendum per la Catalogna libera, o niente. Ma lo scioglimento delle Cortes e nuove elezioni non convengono né a Sánchez , né a lui; ecco perché il governo si farà. Puigdemont chiede un garante internazionale (qualcuno a Barcellona vorrebbe rivolgersi alla comunità di Sant’Egidio), che vigili sul rispetto del patto con Sánchez. Questo però rappresenta un problema: accettare un controllo esterno equivarrebbe a riconoscere che la Catalogna fa accordi con la Spagna come con uno Stato straniero. La destra si appella al re; ma Felipe VI è deciso a restare neutrale, del resto con Sánchez ha un buon rapporto (il monarca dà del tu al premier, e ne riceve il lei).
La Spagna avrebbe dovuto essere il primo tassello del disegno sovranista: sostituire i socialisti nell’alleanza con i popolari alla guida dell’Unione europea. In effetti alle elezioni del 23 luglio scorso il Partido Popular è stato il primo partito; ma i suoi alleati di Vox sono andati meno bene del previsto. Il leader del Pp, Alberto Núñez Feijóo, non ha ottenuto la fiducia. La palla è così tornata a Sánchez .
Non è solo una questione interna spagnola. Anche nelle elezioni polacche il partito di Jaroslaw Kacinsky, alleato di Giorgia Meloni, è arrivato primo, ma non ha partner per formare un governo: Varsavia cambia segno, torna al potere l’europeista Donald Tusk, che è un esponente dei popolari ma guarda al centro liberale, non alla destra populista.
Tutto questo lascia intendere che il ribaltamento delle alleanze a Bruxelles non ci sarà. L’onda sovranista resta forte. I popoli d’Europa chiedono più protezione nazionale. Però non hanno tutta questa voglia di ingabbiarsi in un impossibile ritorno al passato. In particolare l’elettorato giovane e urbano è affezionato ai diritti e alle libertà. E sa, o almeno sente, che il sovranismo è la fine dell’Europa; e da sole Spagna, Polonia, Francia, Germania nel mondo globale non contano molto più di nulla. Questo vale a maggior ragione per l’Italia.
Ora Giorgia Meloni può insistere sul suo schema di gioco. Oppure può lavorare alla costruzione di un partito moderato che inevitabilmente in Europa si confronta con i socialisti. Molti osservatori sostengono che la premier abbia già scelto la seconda strada. Però non l’ha ancora detto, anzi, con i socialisti ha sempre escluso qualsiasi collaborazione. Per Vox, Sánchez è un «infame», un «traditore» che tratta con i terroristi e svende l’unità della Spagna. Però al prossimo vertice europeo è Sánchez che la Meloni rischia di ritrovarsi davanti. Mentre il suo alleato e vicepremier Matteo Salvini rivendica l’alleanza con Marine Le Pen e Alternative für Deutschland.
Qual è l’interesse nazionale italiano? Quale Europa nascerà dal voto del prossimo giugno? Il nostro governo sosterrà ancora Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea, o ha in mente un altro candidato? La campagna elettorale per le Europee non si farà soltanto con la propaganda, ma anche con le scelte politiche.

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