
Il presidente turco Erdogan torna al centro dei giochi dopo i negoziati del passato
Non c’è nessuna vera prospettiva di pace tra Russia e Ucraina all’orizzonte. Le due posizioni restano lontane. Putin mira tutt’oggi non solo a tenersi i territori occupati con le armi, ma soprattutto a organizzare il suo controllo sulla sovranità ucraina. Zelensky intende invece sbugiardarlo, oltre a mantenere il massimo di autonomia politica da Mosca e capacità di resistenza militare in collaborazione col fronte occidentale.
Si spiega così l’offerta ieri del presidente ucraino al nemico russo. «Sono pronto a trattare personalmente con te in Turchia, se in cambio accetti adesso il cessate il fuoco», dice a Putin, ben sapendo che dal Cremlino il «nyet» è assicurato. Ma non importa: ciò che conta è che Trump prenda nota e resti saldamente nel fronte Nato, continuando a minacciare di inasprire le sanzioni contro la Russia, come ha detto negli ultimi giorni, con un’inversione totale di rotta rispetto alle sue prese di posizione filo-Putin nelle prime settimane della sua presidenza.
L’offerta di Zelensky per i negoziati diretti, previa la tregua, sembra dunque mirata a rispondere all’ennesima giravolta di Trump, che all’ultimo minuto, dopo essersi schierato sabato per la tregua con i quattro leader europei arrivati a Kiev, ieri sera ha spiazzato tutti e consigliato a Zelensky di accettare le proposte di Putin. A mali estremi, estremi rimedi: la strategia del premier ucraino, sin dallo scontro frontale con Trump e JD Vance a Washington, è sempre stata quella di cercare il compromesso con il presidente americano e costringere Putin a mostrare le carte, rilanciando la posta più in alto.
In sintesi: Mosca e Kiev si rimpallano a vicenda la responsabilità del fallimento dei negoziati. Non è infatti strano che Putin «dribbli» la proposta del cessate il fuoco immediato di 30 giorni avanzata da Europa e Usa per contrattaccare con la «sua» interpretazione dei cosiddetti «accordi di Istanbul», quale piattaforma per le trattative.
Ma anche questo punto è estremamente controverso. Putin si riferisce alle tornate di colloqui diretti iniziati in Bielorussia subito dopo l’inizio della guerra nel febbraio 2022 e continuati in Turchia sino alla metà di aprile. La propaganda del Cremlino sostenne poi che le due parti stavano per firmare la pace, quando, su insistenza soprattutto dell’allora premier britannico Boris Johnson, Zelensky «stracciò» l’accordo. Ma tutto questo non trova conferma a Kiev o tra gli alleati. Non esiste alcun memorandum firmato dalle due parti.
Il New York Times il 15 giugno 2024 ha pubblicato una lunga inchiesta, in cui si dettaglia lo stato delle trattative prima del fallimento. Zelensky si diceva pronto a lasciare ai russi la Crimea e parte del Donbass, ma senza riconoscere alcuna sovranità russa, che sarebbe stata negoziata nei prossimi 15 anni. L’Ucraina poteva entrare nella Ue, ma non nella Nato. Punto controverso era il disarmo: i russi volevano limitare le gittate dei missili, ridurre l’aviazione e i battaglioni corazzati ucraini. Ma poi i colloqui si ruppero quando i russi pretesero di poter imporre il veto sugli aiuti occidentali in caso l’Ucraina fosse stata aggredita.
Non emerge invece alcuna obiezione alla mediazione turca. Sia Kiev che Mosca hanno apprezzato «l’accordo sul grano» attraverso il Mar Nero garantito dal presidente Erdogan nel primo anno di guerra e poi fallito per volere russo. Ankara è stata anche molto apprezzata per il ruolo giocato negli scambi di prigionieri.