Il piano del presidente americano avrebbe fermato i miliziani: «Sono saltate le garanzie americane» Sabato era prevista la liberazione di tre ostaggi e 190 detenuti palestinesi, ora in dubbio

Il piano del presidente americano avrebbe fermato i miliziani: «Sono saltate le garanzie americane» Sabato era prevista la liberazione di tre ostaggi e 190 detenuti palestinesi, ora in dubbioLa riunione del consiglio di sicurezza prevista per questa sera viene anticipata al mattino e così Benjamin Netanyahu ha ottenuto dai giudici di non presentarsi oggi al processo in cui è accusato di corruzione.
L’accelerazione non è stata sua, aveva rinviato il vertice fino al ritorno da Washington e ancora ieri ha partecipato al dibattito in parlamento senza incontrare i ministri del gruppo ristretto. Sono stati i capi di Hamas da Gaza a sbaragliare quella che sembrava un’intesa definita almeno fino ai primi di marzo: «Il rilascio dei prossimi ostaggi è rinviato», proclama Abu Obeida, il nome di battaglia usato dal portavoce militare di Hamas. Accusa gli israeliani di aver violato a tregua «fermando l’ingresso di aiuti e rallentando il ritorno della popolazione a nord».
Sabato prossimo sarebbe prevista la liberazione di altri tre ostaggi in cambio della scarcerazione di quasi 190 detenuti palestinesi. Il governo a Gerusalemme minaccia: il ritardo mette a rischio il patto mediato dagli americani, dagli egiziani e dai leader del Qatar. Dopo aver visto il premier e i generali, Israel Katz, il ministro della Difesa, ha ordinato all’esercito «di essere pronto a qualunque scenario». Hamas ha «deliberatamente fatto questo annuncio cinque giorni prima per tenere la porta aperta per attuare lo scambio in tempo», dicono nel comunicato. Chiedono che Israele permetta l’ingresso di ruspe e scavatori che l’intelligence considera per «uso militare» mentre dovrebbero servire a rimuovere le macerie. Soprattutto Hamas vuole spingere Netanyahu a mandare in Qatar una delegazione titolata a discutere la seconda fase del cessate il fuoco.
I famigliari degli ostaggi si sono presentati nella piazza di Tel Aviv diventata il simbolo della loro lotta accompagnati da migliaia di persone. Implorano Bibi di andare avanti con le trattative, sanno che assieme agli alleati messianici preferirebbe riprendere il conflitto per arrivare alla «vittoria totale» propagandata. Anche se il blocco venisse superato, dopo il primo marzo resterebbero ancora 59 rapiti, almeno la metà è stata dichiarata morta. Al loro fianco si mette Yair Lapid, tra i leader dell’opposizione, che invoca una commissione d’inchiesta sulle responsabilità politiche e strategiche dietro ai massacri del 7 ottobre 2023 perpetrati dai terroristi fondamentalisti, 1.200 israeliani uccisi. Netanyahu l’ha posticipata ancora di tre mesi, non si è mai preso alcuna responsabilità nonostante i tredici anni al potere sugli ultimi quindici.
Durante il discorso in parlamento il premier ha dichiarato che «l’incontro con Donald Trump è stato il più importante nella Storia delle relazioni Israele–Stati Uniti. Ha presentato una visione rivoluzionaria». Fonti dei servizi segreti egiziani — stanno partecipando alle trattative — spiegano all’agenzia Reuters che proprio il piano della Casa Bianca avrebbe spinto Hamas a forzare: «Sono saltate le garanzie americane sul cessate il fuoco». In un’intervista all’emittente Fox News il presidente ha ribadito la «visione rivoluzionaria» che appare impraticabile e va contro la legalità internazionale, il mondo arabo denuncia «il progetto di pulizia etnica»: «Gli Stati Uniti la trasformeranno in una Riviera di lusso dopo il trasferimento dei palestinesi. Che non potranno ritornare, non lo vorranno perché verranno costruite belle comunità per loro non troppo lontano da dove stanno adesso». Mentre firmava un’altra serie di ordini esecutivi ha anche minacciato: «Hamas deve rilasciare gli ostaggi o si scatenerà l’inferno». E ha avvertito l’Egitto e la Giordania: «Fermerò gli aiuti per voi, se non accogliete i profughi palestinesi».
Chi cerca ancora le garanzie di Washington è il presidente Abu Mazen: da Ramallah annuncia un decreto che dovrebbe fermare il sostegno economico alle famiglie dei palestinesi nelle carceri israeliane. Il governo a Gerusalemme lo ha sempre bollato come «stipendio per i terroristi e incitamento alla violenza». Anche gli americani chiedevano di sospenderlo.

A.N.D.E.
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