L’attacco a democrazie ed Europa. Ma come diceva Vico «sembravano traversie, erano opportunità»
Sembravano traversie ed erano opportunità, la rassicurante massima di Vico, talismano per gli ottimisti di ogni tempo, può tornare utile al fine di orientarsi in questo grande caos. Bisogna affidarsi allo stesso utopico estraniamento dalla attualità sanguinosa dei propri giorni per immaginare e dunque edificare un domani che sia possibile vivere, che valga la pena di vivere. Lo spirito di Ventotene, proprio quello, la forza delle idee che progettò l’Europa unita mentre ci si bombardava gli uni con gli altri, ci può sorreggere.
E ci può portare fuori dalla banalità e dalla volgarità di dibattiti parlamentari che ormai sembrano, con tutto il rispetto, delle osterie dove ci si accapiglia urlando per le squadre di calcio. Chi governa non sa cosa questo significhi, applicando costantemente gli stilemi di una attitudine oppositoria e di parte che è incompatibile con il differente status che l’esercizio della guida di una comunità dovrebbe imporre.
So che è difficile rintracciare le opportunità in un tempo in cui la Russia invade un Paese sovrano e si può persino spacciare un riconoscimento internazionale di questa violenza con la parola pace, in cui Gaza viene rasa al suolo e si continua a uccidere bambini innocenti, in cui un presidente degli Stati Uniti parla di deportazione, legittima gli assalti violenti al Parlamento, demolisce la scuola pubblica, minaccia dazi, smonta il multipolarismo a favore di un nazionalismo beota. È difficile vedere luce osservando che un leader dell’opposizione viene arrestato, nel silenzio del mondo, in un Paese vicino all’Europa come la Turchia, che in Siria non si smette di combattere e di morire…
«La terza guerra mondiale a pezzi è un conflitto mondiale», ha detto a ragione papa Francesco. Essa è gravida di pericoli molto seri, specie per noi.
Da tempo, su queste colonne, si sostiene che le vere vittime sacrificali di questa stagione sovranista e populista possono essere la democrazia e l’Europa.
Quali sono gli elementi che caratterizzano questa fase, che denotano, come un protocollo, l’azione dei populisti al governo? In primo luogo la convinzione che la vittoria alle elezioni, spesso con partecipazioni al voto irrisorie come nel nostro Paese, significhi non la facoltà di governare, ma quella di dominare. Non vengono messe in discussione le libertà fondamentali, ma si opera per erodere la possibilità di quella alternanza al governo che è sale e ossigeno della democrazia. Si pensi a quello che è accaduto in Ungheria con le leggi elettorali o in Polonia con la messa in discussione dell’equilibrio dei poteri costituzionali. Tutto viene verticalizzato, in nome dell’efficienza e della velocità, nuovi miti assoluti, e l’idea di potere diffuso e bilanciato, tipico dei regimi democratici, viene sostituito dalla suggestione autocratica fino al punto, negli Usa, di assegnare a un imprenditore privato il compito di demolire la macchina statale a colpi di licenziamenti ed epurazioni. Perché l’autonomia delle istituzioni, della magistratura, dell’informazione sono considerate una bestemmia, ormai.
L’Europa e l’Occidente, intesi non come luoghi geografici, sono il vero bersaglio di questa nuova stagione. L’alleanza russo americana punta a destabilizzare il Vecchio continente, a minarne la forza, a chiuderlo in una morsa fatta di dazi e di antieuropeismo diffuso a piene mani attraverso un sostegno attivo e organizzato a tutte le forze nazionaliste nei singoli Paesi. Non ci avremmo creduto, se qualcuno ci avesse detto che avremmo visto un giorno il vicepresidente del più grande Paese dell’Occidente sbarcare per la prima volta in Europa, in Germania, e incontrare non il presidente della Repubblica o il cancelliere ma il capo di un movimento di ispirazione neonazista. Chi ha negli occhi le immagini delle distese di croci bianche dei ragazzi americani sepolti in Normandia e uccisi dai nazisti non può pensare che tutto questo sia normale, come non lo è la parola «deportazione» rientrata nel gergo della politica.
Ma proprio quando tutto sembra a rovescio bisogna immaginare, definire, progettare l’impensabile.
E l’impensabile oggi sono gli Stati Uniti d’Europa, la più forte risposta al sovranismo e al populismo, la più grande garanzia di pace e di equilibrio mondiale che si possa oggi immaginare. Ma questo comporta uno scatto di reni, la coscienza dei nuovi equilibri mondiali, l’orgoglio di una autonomia di azione e di pensiero che ebbero le vecchie classi dirigenti che l’Europa hanno costituito.
Non il balbettio furbacchione di chi governa, le mozioni di maggioranza o di opposizione che non dicono nulla, lo slalom tra i veti degli antieuropeisti di ogni colore e ovunque collocati.
Oggi in Europa bisogna superare il diritto di veto, promuovere l’unificazione delle norme fiscali e di bilancio, darsi un esercito comune guidato da politica estera e di difesa comunitarie.
Una Europa forte non ha bisogno di riarmare gli eserciti nazionali ma ha urgenza di dimostrare che l’Occidente, tutto, difende con forza i suoi valori fondamentali, quelli della libertà, della democrazia, dell’accoglienza, della solidarietà sociale.
Questo dovrebbe essere il nuovo discrimine e lo spartiacque, anche nella ricerca del consenso. La stessa sinistra ha il dovere di dire parole chiare e di non accettare, per ragioni tattiche, ambiguità su questo tema.Avendo fiducia, non inseguendo i sondaggi o la barbarie del linguaggio binario dei social. Il successo di ascolto del magnifico monologo di Benigni, due ore di sole parole europeiste, o la partecipazione alle manifestazioni pro Europa, una novità, dovrebbero far capire che la domanda è viva, assai più dell’offerta.
Nazionalismo populista o Stati Uniti d’Europa.
Sarebbe bello se i cittadini fossero chiamati a decidere su questa scelta fondamentale, prima o poi.
Anche solo per dar ragione a Giambattista Vico.
E ci può portare fuori dalla banalità e dalla volgarità di dibattiti parlamentari che ormai sembrano, con tutto il rispetto, delle osterie dove ci si accapiglia urlando per le squadre di calcio. Chi governa non sa cosa questo significhi, applicando costantemente gli stilemi di una attitudine oppositoria e di parte che è incompatibile con il differente status che l’esercizio della guida di una comunità dovrebbe imporre.
So che è difficile rintracciare le opportunità in un tempo in cui la Russia invade un Paese sovrano e si può persino spacciare un riconoscimento internazionale di questa violenza con la parola pace, in cui Gaza viene rasa al suolo e si continua a uccidere bambini innocenti, in cui un presidente degli Stati Uniti parla di deportazione, legittima gli assalti violenti al Parlamento, demolisce la scuola pubblica, minaccia dazi, smonta il multipolarismo a favore di un nazionalismo beota. È difficile vedere luce osservando che un leader dell’opposizione viene arrestato, nel silenzio del mondo, in un Paese vicino all’Europa come la Turchia, che in Siria non si smette di combattere e di morire…
«La terza guerra mondiale a pezzi è un conflitto mondiale», ha detto a ragione papa Francesco. Essa è gravida di pericoli molto seri, specie per noi.
Da tempo, su queste colonne, si sostiene che le vere vittime sacrificali di questa stagione sovranista e populista possono essere la democrazia e l’Europa.
Quali sono gli elementi che caratterizzano questa fase, che denotano, come un protocollo, l’azione dei populisti al governo? In primo luogo la convinzione che la vittoria alle elezioni, spesso con partecipazioni al voto irrisorie come nel nostro Paese, significhi non la facoltà di governare, ma quella di dominare. Non vengono messe in discussione le libertà fondamentali, ma si opera per erodere la possibilità di quella alternanza al governo che è sale e ossigeno della democrazia. Si pensi a quello che è accaduto in Ungheria con le leggi elettorali o in Polonia con la messa in discussione dell’equilibrio dei poteri costituzionali. Tutto viene verticalizzato, in nome dell’efficienza e della velocità, nuovi miti assoluti, e l’idea di potere diffuso e bilanciato, tipico dei regimi democratici, viene sostituito dalla suggestione autocratica fino al punto, negli Usa, di assegnare a un imprenditore privato il compito di demolire la macchina statale a colpi di licenziamenti ed epurazioni. Perché l’autonomia delle istituzioni, della magistratura, dell’informazione sono considerate una bestemmia, ormai.
L’Europa e l’Occidente, intesi non come luoghi geografici, sono il vero bersaglio di questa nuova stagione. L’alleanza russo americana punta a destabilizzare il Vecchio continente, a minarne la forza, a chiuderlo in una morsa fatta di dazi e di antieuropeismo diffuso a piene mani attraverso un sostegno attivo e organizzato a tutte le forze nazionaliste nei singoli Paesi. Non ci avremmo creduto, se qualcuno ci avesse detto che avremmo visto un giorno il vicepresidente del più grande Paese dell’Occidente sbarcare per la prima volta in Europa, in Germania, e incontrare non il presidente della Repubblica o il cancelliere ma il capo di un movimento di ispirazione neonazista. Chi ha negli occhi le immagini delle distese di croci bianche dei ragazzi americani sepolti in Normandia e uccisi dai nazisti non può pensare che tutto questo sia normale, come non lo è la parola «deportazione» rientrata nel gergo della politica.
Ma proprio quando tutto sembra a rovescio bisogna immaginare, definire, progettare l’impensabile.
E l’impensabile oggi sono gli Stati Uniti d’Europa, la più forte risposta al sovranismo e al populismo, la più grande garanzia di pace e di equilibrio mondiale che si possa oggi immaginare. Ma questo comporta uno scatto di reni, la coscienza dei nuovi equilibri mondiali, l’orgoglio di una autonomia di azione e di pensiero che ebbero le vecchie classi dirigenti che l’Europa hanno costituito.
Non il balbettio furbacchione di chi governa, le mozioni di maggioranza o di opposizione che non dicono nulla, lo slalom tra i veti degli antieuropeisti di ogni colore e ovunque collocati.
Oggi in Europa bisogna superare il diritto di veto, promuovere l’unificazione delle norme fiscali e di bilancio, darsi un esercito comune guidato da politica estera e di difesa comunitarie.
Una Europa forte non ha bisogno di riarmare gli eserciti nazionali ma ha urgenza di dimostrare che l’Occidente, tutto, difende con forza i suoi valori fondamentali, quelli della libertà, della democrazia, dell’accoglienza, della solidarietà sociale.
Questo dovrebbe essere il nuovo discrimine e lo spartiacque, anche nella ricerca del consenso. La stessa sinistra ha il dovere di dire parole chiare e di non accettare, per ragioni tattiche, ambiguità su questo tema.Avendo fiducia, non inseguendo i sondaggi o la barbarie del linguaggio binario dei social. Il successo di ascolto del magnifico monologo di Benigni, due ore di sole parole europeiste, o la partecipazione alle manifestazioni pro Europa, una novità, dovrebbero far capire che la domanda è viva, assai più dell’offerta.
Nazionalismo populista o Stati Uniti d’Europa.
Sarebbe bello se i cittadini fossero chiamati a decidere su questa scelta fondamentale, prima o poi.
Anche solo per dar ragione a Giambattista Vico.