La verità è che in questo Paese le quote rosa servirebbero ovunque: per stabilire punti di partenza. Fateci partire alla pari, dagli stessi numeri maschili

In un mondo perfetto il femminismo non avrebbe senso. Non ce ne sarebbe bisogno. Perché mai rivendicare diritti talmente basici da sembrare inconsistenti? In quel mondo lì — quello perfetto — noi donne non dovremmo invocare rispetto, libertà di scelta, parità di trattamento economico eccetera eccetera… E però, com’è evidente, non siamo in un mondo perfetto. Non lo siamo in Occidente, e già ci sembra inaccettabile, ma sappiamo bene che milioni di donne, in luoghi alla fine del mondo dei diritti, giocano partite ben più difficili delle nostre, in contesti sociali e culturali mostruosamente imperfetti. Da questa parte del mondo quello che ci è chiaro è che siamo ancora qui, l’8 marzo o in qualsiasi altra occasione, a rifare daccapo la lista di quello che vorremmo e di quello che ci manca.
Che poi — diciamocelo — gli anni passano ma l’elenco dei desiderata resta da spuntare quasi tutto. Vediamo replicarsi sotto i nostri occhi — anche fra giovani e giovanissimi — modelli di relazioni basati sul dominio e sul controllo. Vediamo disuguaglianze lungo la strada che porta alle opportunità, alle retribuzioni, alle carriere. Vediamo il dito puntato contro donne che la violenza «se la sono cercata». Le posizioni di potere sono a prevalenza maschile. Ma c’è un’eccezione: i consigli d’amministrazione e dei collegi sindacali delle società quotate e di quelle a controllo pubblico, dove è obbligatoria la presenza del 40% di donne proprio in nome di una rappresentanza equa fra i generi.
È l’effetto della legge del 2011 sulle cosiddette quote rosa, quelle bocciate da molti «perché non tengono conto del merito». Le stesse che, applicate alle liste elettorali, furono definite «recinto» dall’ex sindaca di Roma Virginia Raggi. E allora parliamo di merito. Con una domanda: siamo sicuri che 1.000 uomini presi a caso dai cda o nella politica siano tutti, ma proprio tutti, «meritevoli»? E se la risposta è no (com’è ovvio), allora perché siamo disposti ad accettare un certo grado di mediocrità nell’universo maschile ma per concedere spazio a quello femminile pretendiamo sempre dimostrazione di meriti ed eccellenza? In un mondo perfetto le quote rosa sarebbero un’idiozia. Ma, come dicevamo, qui niente è perfetto. E la verità è che in questo Paese le quote rosa servirebbero ovunque: per stabilire punti di partenza. Fateci partire alla pari, dagli stessi numeri maschili. Gareggiare non ci spaventa.

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