
Ne mancano almeno 65mila: il nodo è la bassa attrattività della professione. Al via tre nuove lauree specialistiche e si lavora a compiti e competenze aggiuntive come la possibilità di scrivere ricette
Un’emergenza nazionale che si trascina da anni e non più rinviabile. Apprezzati dai cittadini e sempre più spesso laureati, gli infermieri – nel giorno di nascita di Florence Nightingale, considerata la “madre” di questa professione – chiedono buste paga adeguate e ruoli dirigenziali. La realtà del loro lavoro è ancora fatta di turni massacranti, bassi stipendi ed episodi di aggressioni. Condizioni che fanno fuggire i giovani (soprattutto al Nord) da una professione che è la colonna portante della Sanità in ospedale, ma anche di quella sul territorio che faticosamente sta prendendo corpo nelle Case di comunità con i fondi del Pnrr.
Le misure per rendere più attrattiva la professione
Serve dunque una terapia d’urto e tra le prime misure a cui si sta lavorando per provare a rilanciare questa figura c’è l’avvio di tre nuove lauree specialistiche (dopo quella triennale di base) che potrebbero vedere la luce già dal prossimo anno accademico e che formeranno gli infermieri specialisti in pediatria, nelle cure sul territorio e in quelle dell’emergenza. Un passo importante che aprirà le porte ai percorsi di carriera e quindi a stipendi più alti per gli infermieri che presto potranno anche scrivere le prime ricette finora appannaggio solo dei medici prescrivendo a esempio medicazioni, presidi e dispositivi come i cateteri. A decretare questa piccola rivoluzione saranno il nuovo decreto sulle lauree specialistiche che stanno limando i ministeri della Salute e dell’Università, ma anche un disegno di legge delega (atteso per giugno in consiglio dei ministri) che aggiungerà nuove competenze e percorsi di carriera per loro.
In Italia mancano almeno 65mila infermieri
Dalle cure palliative a quelle pediatriche, dai pronto soccorso alle Rsa, sono circa 400mila gli infermieri attivi in Italia. Un numero insufficiente rispetto al fabbisogno: la carenza è stimata in almeno 65mila unità, con situazioni critiche in Sicilia e Lombardia. E se, da un lato, l’Italia continua a esportare neolaureati, dall’altro registra l’impennata di quelli stranieri. Mentre i sindacati protestano il ministro della Salute Orazio Schillaci sottolinea la «necessità di valorizzare il ruolo degli infermieri. Non è solo un problema di retribuzione economica. Dobbiamo portare i giovani a scegliere questa professione». Il tema entra anche nel dibattito politico con le opposizioni che insorgono e chiedono «meno parole e più fatti». A fornire il quadro è il rapporto elaborato dalla Federazione degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi), insieme alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, presentato ieri in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere, che si celebra appunto ogni anno il 12 maggio.
I numeri e il confronto internazionale
Il report mostra un’Italia «in coda alla classifica Ocse» per il numero di infermieri rispetto agli abitanti. I dati del Conto Annuale pubblicati dalla Ragioneria dello Stato mostrano una media nazionale di 4,79, superata principalmente da Regioni del Centro-Nord come Liguria (6,3), Emilia-Romagna (6,2) e Friuli-Venezia Giulia (6,1). Al contrario, Lombardia (3,5), Sicilia (3,5) e Campania (3,6) sono agli ultimi posti. Tra le cause della carenza anche gli stipendi, che vedono l’Italia indietro rispetto ai Paesi europei e con una netta differenza tra Nord (dove ci sono più infermieri dirigenti) e Sud: il Trentino-Alto Adige è al vertice con uno stipendio medio annuo lordo di 37.204 euro, seguito da Emilia (35.857) e Toscana (35.612). Mentre in Molise si ferma a 26.186, in a Campania a 27.534 e in Calabria a 29.810.
Il destino incerto della Sanità territoriale
Una situazione che non fa essere ottimisti sul destino della Sanità del territorio con gli infermieri di comunità (una sorta di “infermiere di famiglia”) da assumere per riempire le oltre 1400 Case di comunità da attivare entro metà 2026 e per far decollare le cure domiciliari: tutte le Regioni pure se in tempi diversi hanno recepito lo standard di un infermiere di comunità ogni 3mila abitanti ma i tempi per centrare l’obiettivo sono decisamente variabili. Se la Toscana prevede la piena implementazione entro il 2026, i tempi stimati per centrare il target sono sui 4-5 anni anche in Regioni come l’Emilia-Romagna. Di contro, a colmare in parte i buchi ci arrivano dall’estero: sono 43.600 gli infermieri stranieri che lavorano qui, pari a un aumento del 47% dal 2020.