ECONOMIA
Fonte: La Stampa

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Nella classifica europea solo tre regioni “al passo”, il resto del Paese arranca

Innovatori «moderati», è la definizione, un modo per dire che l’Italia è nella parte bassa della classifica e gioca un campionato che si ricorderà solo perché di retrocessione non s’è mai parlato veramente. I bravi sono chiamati i «leader», i soliti noti, svedesi, danesi, tedeschi, finlandesi, quelli che nel futuro investono sul serio. Noi inseguiamo distanti, ma non tutti, per fortuna. Mentre il paese guarda avanti e arranca, Piemonte, Emilia-Romagna e Friuli sono agganciate saldamente all’Europa. Sanno orientare i fondi, formano i giovani, studiano, programmano. Sono sistemi «al passo». Quelli che, con un po’ di impegno in più e uno stato vero dietro le spalle, potrebbero anche toccare il cielo. Non ci sono né sorprese, né miracoli. Il quadro di valutazione sull’Innovazione pubblicato ieri dalla Commissione Ue rileva che l’Europa sta colmando il divario con Usa e Giappone, ma le differenze sul piano della resa innovativa tra gli stati restano considerevoli e si riducono lentamente. Soprattutto, la Corea del Sud, inarrestabili lepre tecnologica, continua ad aumentare il divario che la separa dagli inseguitori: l’indice che misura tasso di crescita dell’Innovazione è del 6% (periodo 2006-13); in Europa è del 2,7, meno di metà; visti i tempi, è interessante notare che la Russia è negativa dell’1,8%.

 

L’Italia non va bene, tuttavia qualche progresso l’ha fatto. La Commissione nota che la prestazione innovativa del sistema è salita stabilmente sino al 2012, «salvo far segnare un piccolo declino nel 2013»; la performance relativa rispetto alla media Ue è ora del 20 per cento più bassa. Antonio Tajani, commissario europeo per l’industria, che la benzina che manca nel motore del Bel Paese è quella delle riforme. «Quando c’è un fardello fiscale così forte sulle imprese è difficile investire molto in innovazione e ricerca – ha spiegato -. La Commissione ha sempre raccomandato al governo italiano, e credo continuerà a farlo, di ridurre la pressione fiscale sul sistema produttivo».

 

Il Bel Paese, si legge nel rapporto europeo, fa peggio della media su numerosi indicatori. «Una debolezza relativa la si riscontra nella presenza di studenti di dottorato non Ue, come nella limitata collaborazione reciproca delle imprese che innovano». Per contro, una buona evoluzione la si riscontra delle pubblicazioni scientifiche e nei ricavi che si ottengono da brevetti e dalle licenze vendute all’estero. In fase declino, purtroppo, gli investimenti di venture capital, la spesa per l’innovazione non legata alla ricerca & sviluppo. E’ l’Italia, per farla breve. E in quanto tale ha le sue grandi bellezze, sulla mappa sono le tre regioni in verde chiaro («al passo coi leader») nella penisola tutta gialla («innovatrice moderata»), degli avanguardisti dello sviluppo, piemontesi, emiliano-romagnoli, friulani. I primi sono nel gruppo vicino ai migliori da almeno quattro anni, gli altri sono appena arrivati. Vero è che il Mezzogiorno sta recuperando ed è ora al livello della Lombardia. Però, nell’insieme, viene fuori che l’Italia veste una livrea da leopardo con solo tre macchie innovative. «In Piemonte – argomenta il commissario italiano – c’è un tessuto industriale forte che ha permesso di resistere meglio alla crisi rispetto ad altre realtà nazionali». A suo avviso, «la presenza della Fiat è stata importante come tutto il sistema delle piccole imprese, hanno fatto la differenza mentre il Paese faticava». La regione sabauda è in effetti la migliore a livello nazionale per l’innovazione del business, per la capacità delle piccole imprese di evolversi con progetti fatti in casa e la dote di saper introdurre i processi. E’ regina, infine, anche per la qualità della manodopera ad alta specializzazione. Chapeau!

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