13 Dicembre 2024

L’Italia finora se la è risparmiata grazie all’integrazione europea che verso ex nemici ha sostituito il metodo del negoziato alle cannonate. Non la si disprezzi, l’Unione Europea

La guerra, a differenza di quanto proclamava il futurista Tommaso Marinetti, non è la «sola igiene del mondo». È il concentrato della sua sporcizia. Saggio sarebbe, come sosteneva Alberto Moravia, altro scrittore, renderla un «tabù» favorendo una evoluzione dell’umanità analoga a quella avvenuta con il rifiuto dell’incesto. Fantastico sarebbe realizzare in un giorno un progresso del genere, invece l’impresa richiederà sforzi a lungo. Nel frattempo purtroppo di conflitti armati ne esistono. Per evitarli o circoscriverli occorre razionalità, non usarli esclusivamente come occasioni per creare reazioni emotive a fini di propaganda.
Per quanto possa avere conseguenze da non sottovalutare, la scelta se autorizzare l’Ucraina a colpire la Russia con armi fornite da Paesi della Nato non significa un nostro ingresso in guerra. È stata Mosca a invadere uno Stato sovrano, ed è legittimo che esso si difenda con risposte armate contro i luoghi dai quali sono resi possibili gli attacchi. Negare l’autorizzazione a farlo con mezzi occidentali ha il sicuro effetto di avvantaggiare l’aggressione russa su un popolo e su un assetto geopolitico aggrediti. Inoltre, può ridurre la capacità di deterrenza della Nato e il credito dell’Italia al suo interno.
Al di là di ciò, esiste un grave distacco tra il dibattito politico italiano e la realtà del mondo, grave fino al punto di indurre talvolta il primo a negare evidenze. Benché non sia atto di guerra e lo sia di sostegno indiretto a un Paese amico, l’autorizzazione dell’uso delle armi verso la Russia richiesta dall’Ucraina viene respinta da alcuni obiettando che secondo l’articolo 11 della Costituzione «l’Italia ripudia la guerra». Questo non è vero, malgrado giustamente oggi il nostro Paese non abbia propensione a entrare in guerra. L’articolo va letto nella sua interezza: quello che ripudia è «la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Se fosse stato diversamente, dopo la parola «guerra» i costituenti avrebbero messo un punto che non c’è. Qualora fossimo attaccati o lo fossero nostri alleati o Paesi amici, la Costituzione non impone per niente di bendarci gli occhi e legarci le mani.
Nell’articolo 11 non esiste il punto neppure dopo «controversie internazionali». Ci sono un punto e virgola e ancora, sull’Italia, le seguenti parole: «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Dunque il nostro Paese deve tener conto anche della «giustizia», dei mandati che possono essere dati dalle Nazioni Unite (i quali possono consistere in uso della forza militare) e delle sue alleanze volte a garantire pace e giustizia.
Non è questione cavillosa. È un argomento di sostanza che le cronache catapultano da anni nei nostri possibili orizzonti: una corrosione dell’influenza degli Stati Uniti e dell’Occidente risultate determinanti per gli equilibri del XX secolo ha aperto spazi a Paesi che possono volere in futuro ancora più guerre. Non è onesto sostenere di fatto che, di fronte a ogni conflitto, una nazione con un inno nazionale nel quale per difendere la Patria ci si definisce «pronti alla morte» ha l’obbligo di arrendersi o rivolgere lo sguardo altrove. Non è educativo per le nuove generazioni, è irrispettoso per le italiane e gli italiani delle Forze armate, è negazione o ignoranza della Costituzione.
Nella versione vigente della carta fondamentale dello Stato la parola «guerra» è citata sei volte. Oltre che nell’articolo 11, lo è nel 60 che prevede possibilità di proroga di ciascuna Camera «soltanto in caso di guerra», nel 78 secondo cui «le Camere deliberano lo stato di guerra», nell’87 in base al quale spetta al presidente della Repubblica dichiarare «lo stato di guerra deliberato dalle Camere», nel 103 e nel 111 riguardo ai tribunali militari «in tempo di guerra».
Dopo averne combattuta una dalla parte sbagliata, la Seconda mondiale, un’altra guerra con i nostri principali vicini l’Italia finora se la è risparmiata grazie all’integrazione europea che verso ex nemici ha sostituito il metodo del negoziato alle cannonate. Non la si disprezzi, l’Unione Europea. E si agisca per far diventare la guerra un tabù senza oggi combattere con distorsioni le verità che sono contenute nella Costituzione. Comprese quelle amare, non nascoste da padri costituenti usciti dalla Guerra di Liberazione.

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