SPECIALE ELEZIONI EUROPEE
Fonte: La Stampa
Belgium

Il premier: “Prima le cose da fare, poi i nomi”. Juncker vuole la presidenza

«Per salvare l’Europa bisogna cambiare l’Europa» e «la discussione di oggi è andata nella direzione giusta. Nelle prossime settimane dobbiamo verificare se questo atteggiamento produrrà passi in avanti significativi» dice Renzi lasciando il consiglio informale Ue. «L’Europa ha parlato con un linguaggio molto duro rispetto anche alle aspettative di tanti. In Italia abbiamo qualche responsabilità in più: la più alta affluenza al voto ed il nostro, il mio, partito, che ha ottenuto il maggior numero di voti in termini assoluti. Un risultato significativo. 11 milioni di voti sono un risultato significativo, hanno sconfitto il populismo ma hanno chiesto di cambiare l’Europa».

«Sono qui a rappresentare uno dei più grandi paesi dell’Unione Europea» aveva già detto arrivando Bruxelles dopo il trionfo elettorale. Poche parole, ma chiare, quasi a voler ribadire il suo messaggio: l’Italia oggi ha le carte in regola, è stabile e affidabile, ed è pronta a giocare la sua partita e a far valere quel peso che le urne domenica gli hanno consegnato. Per cambiare l’Europa, portarla a «parlare il linguaggio dei suoi cittadini». Non solo nelle mosse imminenti, come il nodo clou delle nomine, da stasera sul tavolo dei 28.

LE POLTRONE

Una partita che l’Italia «forte» di Renzi gioca in attacco puntando anche alto. Forse ad una presidenza tra quelle in ballo: dall’Europarlamento alla Commissione, dal Consiglio all’ Eurogruppo. Nomi, Renzi non ne fa. Non ne vuole fare e parla solo di obiettivi da perseguire. Ma di ipotesi ne circolano parecchie. Come quella di Gianni Pittella all’Eurocamera (o alla guida del gruppo parlamentare S&D) ma anche di Enrico Letta alla testa del Consiglio. Mentre per la commissione potrebbe esserci ancora in gioco – nella ridda di voci – Massimo D’Alema al posto di Catherine Asthon, insieme ai nomi di Sandro Gozi, Alessia Mosca, Paolo de Castro per una sedia di commissario.

SFIDA CRESCITA

Il premier per ora non vuole sbilanciarsi e ribadisce che quello su cui costruire le candidature sono le strategie. Pronto a battersi per quel binomio crescita-occupazione che è il suo cavallo di battaglia e spingere per una flessibilità dei conti che releghi la sola austerity al passato. Ieri, probabilmente, ne ha parlato anche con Barack Obama, in una telefonata da una parte all’altra dell’oceano. E oggi, alla sua “prima” a Bruxelles in cui può rivendicare anche l’investitura ufficiale del suo elettorato, si presenta “forte”, dopo aver incontrato a Roma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano proprio per parlare di Ue e di semestre europeo.

LA PARTITA CON LA MERKEL

Renzi arriva in ritardo, “salta” il previsto passaggio al pre-summit del Pse, quella casa socialista che oggi lo vede leader del partito che ha ottenuto il miglior risultato nel vecchio continente. Per impegni a Roma, spiegano i suoi, ma la sua assenza suscita qualche sorpresa. Con Francois Hollande si è incontrato questo pomeriggio davanti al museo ebraico del Belgio, cui ha reso omaggio dopo l’attentato di sabato. E comunque ci aveva parlato già ieri al telefono. Così come con Angela Merkel con cui giocherà la sua partita, da interlocutore forte. Anche, probabilmente, sul fronte nomine. La convinzione che è il momento di cambiare è molto forte in tutte le istituzioni europee, ed è il refrain che Renzi ripete spiegando che non è sufficiente tentare di nominare un italiano al vertice delle istituzioni Ue (ipotesi che comunque lui non esclude) ma cambiare la politica di rigore, attraverso, ad esempio, la ricetta che prevede di escludere gli investimenti produttivi dal patto di stabilità. Un’operazione «keynesiana», diventata il suo motto, che la cancelliera non potrà più ignorare.

IL PPE SPINGE JUNCKER

Sul dossier nomine non vuole entrare: Non «è questione di nomi, vengono dopo l’accordo su ciò che dobbiamo fare. Prima vengono le cose da fare su cui trovare un equilibro», ribadisce, prendendo tempo. Aspettando di vedere come evolveranno le trattative aperte oggi, dopo la conferma dei capigruppo del Ppe di Juncker quale candidato alla Commissione. Un candidato su cui però non c’è maggioranza tra i 28 e su cui spetterà ad Herman Van Rompuy esplorare le strade. Renzi «non ha nessuna carta coperta», spiegano i suoi. Ma di certo quella che sembra aprirsi a Bruxelles sulle poltrone è una lunga trattativa, fatta di mediazioni e, forse, di compromessi finali con qualche sorpresa. Mediazione in cui il premier, probabilmente, guarda per giocare i suoi assi. Di certo si guarda a portafogli di peso, dall’Antitrust e in particolare al commercio estero destinato a giocare un ruolo clou nel confronto con gli emergenti e gli Usa. E a una di quelle “presidenze” che Renzi, ieri sera, non ha escluso anche se, per ora, è difficile ipotizzare – visto il ruolo dell’italiano Mario Draghi alla Bce – possa cadere su organismi quali l’Eurogruppo.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *