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Ad Atene l’ex cancelliera difende le sue scelte. Papandreou: «Noi fummo un capro espiatorio»

«Ho chiesto a George Papandreou: “Cosa vuoi?”. E lui mi ha risposto: “Non voglio niente”. Ioero vista come la cattiva che non voleva dare i soldi».
«Angela Merkel è sempre benvenuta in Grecia, ma la Germania inizialmente trattò il caso greco come un esempio da punire, piuttosto che come un’opportunità per avviare insieme autentiche riforme che erano invece la priorità del nostro governo».

Il tempo è un’illusione, diceva Einstein. E Angela Merkel e George Papandreou sono lì a dimostrarlo. L’ex cancelliera tedesca è tornata sulla scena del crimine. Quindici anni dopo la drammatica crisi finanziaria che mise in ginocchio la Grecia e che ancora nel 2015 rischiò di far saltare l’Eurozona, Merkel ha presentato il suo libro Libertà al Centro Culturale della Fondazione Niarchos, nel maestoso edificio progettato da Renzo Piano.
Mai prodiga di rivelazioni, tantomeno di coup de theatre, anche questa volta Merkel è rimasta fedele al proprio personaggio. C’è un’ostinazione metodica, quasi cartesiana, nel modo in cui l’ex cancelliera difende tutte le sue scelte politiche, senza concedere nulla al dubbio o alla resipiscenza, si tratti della crisi greca, di Putin, del gas russo o dei rifugiati. La vera novità è sentirle ripetere il suo atto di autodifesa davanti a una platea ateniese, che senza rancore alla fine l’ha anche applaudita.

Intervistata dal direttore del quotidiano Kathimerini, Alexis Papahelas, Merkel ha sostenuto di non aver mai immaginato che «i partner greci avrebbero affrontato una crisi così drammatica». Nel febbraio 2010, quando il problema apparve in tutta la sua gravità, «invocai la clausola di non salvataggio nell’euro e non potevo fare altrimenti». «Ho studiato fisica — si è giustificata — conosco i numeri e sapevo che pochi milioni non bastavano. Dovevo avere le basi legali per sostenere il programma davanti al Bundestag». Poi ha parlato di «irregolarità» e ammette, forse alludendo alle banche, che ce n’erano anche «da parte di aziende tedesche».

«Molte volte — ha spiegato — ho fatto la parte del poliziotto cattivo, ma in Grecia dovevano tornare a una economia in equilibrio. So che questo era doloroso, ma lo Stato doveva avere entrate fiscali. Sapevamo anche che bisognava calmare la situazione e per questo ero a favore del taglio del debito, anche se mi hanno dato della pazza».

Merkel, tuttavia, si è contraddetta su un punto cruciale. A una domanda dell’intervistatore infatti ha risposto che «nel 2011 abbiamo dovuto fare tutto il possibile: se la Grecia doveva rimanere o meno nell’eurozona, spettava ai cittadini greci dirlo». Subito dopo però, ha ammesso che lei fu «contraria alla proposta di Papandreou di indire un referendum», mossa che finì per innescare la caduta del premier ellenico: «Non avremmo saputo come gestire l’uscita della Grecia e il fatto di averla respinta si rivelò la migliore decisione possibile», ha detto l’ex leader tedesca con buona pace di cosa volessero veramente i greci. Quattro anni dopo però, nel 2015, quando ad annunciarle a sorpresa il referendum fu il premier populista Alexis Tsipras, Merkel non si oppose: «Rimasi senza voce quando mi disse che avrebbe suggerito di votare no: se avesse prevalso significava l’uscita della Grecia dall’euro». Vinsero i no, ma come sappiamo la Grexit non ebbe luogo. Tsipras infatti negoziò la permanenza, sia pure pagando un prezzo altissimo, il che consentì a Merkel, con l’appoggio del francese Hollande e di Matteo Renzi, di bloccare il tentativo del suo ministro delle Finanze, Schäuble, di mettere Atene alla porta.

George Papandreou, che abbiamo sentito separatamente, ribatte invece che «l’Europa non comprese la natura profonda e sistemica della crisi, convinta che il consolidamento fiscale sarebbe bastato a ristabilire la fiducia». E ricorda che già nel 2010, dopo aver smascherato la truffa del governo conservatore sui conti pubblici, il suo esecutivo aveva ridotto il deficit dal 15,5% al 10,5% del Pil, ma «i mercati restarono diffidenti perché il problema non era solo di Atene». Così la Grecia, secondo l’ex premier, «divenne il facile capro espiatorio perché era l’anello più debole». Le politiche della troika «colpirono i cittadini comuni, invece di affrontare problemi strutturali più profondi». Per Papandreou la lezione da trarre da quella crisi è che «la vera forza dell’Europa risiede nella solidarietà», tanto più attuale oggi di fronte alle sfide esistenziali che ne minacciano la disgregazione.
Su una cosa, tuttavia, gli antichi duellanti concordano: fu Mario Draghi, agendo in modo indipendente, a calmare i mercati e a salvare l’euro con il bazooka della Bce.

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